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Psichiatra e responsabilità penale

di Pietro Pellegrini

30 APR - Gentile Direttore,
con preoccupazione pongo all'attenzione la questione della responsabilità penale del medico psichiatra. Infatti un articolo di Giulio De Santis sul Corriere della Sera on line del 3 aprile 2021, Cronaca di Roma molto esplicitamente titola "Schizofrenico uccise padrone di casa a coltellate: medici a processo”. Nel 2017 un paziente di 32 anni, non avrebbe ucciso il 50enne amico e padrone di casa se "lo psichiatra del Centro di salute mentale" e "due suoi colleghi presso cui era in cura, lo avessero visitato in modo regolare."

Da un breve articolo non è possibile un'analisi approfondita del caso che ad una prima lettura suscita sofferenza e umana "pietas".
Tuttavia alcune questioni, assai rilevanti per la pratica professionale, emergono con chiarezza in quanto vanno a costituire un immaginario, un insieme di aspettative di utenti, familiari, opinione pubblica e temo della magistratura.

Sinteticamente:
a) l'omicidio non sarebbe avvenuto se gli psichiatri avessero visitato regolarmente il paziente. Si stabilisce un nesso fra l'omissione di visite regolari ("colloqui sporadici") e l'omicidio. Viene da chiedersi sulla base di quali evidenze si possa fare un tale affermazione, quanto frequenti debbano essere le visite e quali siano gli strumenti che lo psichiatra avrebbe e dovrebbe mettere in atto per "controllare" i comportamenti dei pazienti liberi nel territorio.

b) lo psichiatra avrebbe omesso di controllare l'assunzione dei farmaci prescritti, dando per acquisito che ciò sia possibile e che i farmaci se assunti siano efficaci. Purtroppo i dosaggi ematici sono effettuabili solo per poche molecole e al momento non vi sono metodi per un controllo di routine dell'assunzione. Oltre a questo, ciò che più rileva è che non vi sono prove scientifiche dell'efficacia a lungo termine dei farmaci antipsicotici rispetto ai quali circa il 30% dei pazienti con schizofrenia non risponde.

c) nell'articolo si dice che due psichiatri, allertati dalla sorella, non sarebbero intervenuti, evenienza che verrà certamente approfondita nella sua dinamica per capirne l'entità.

Tuttavia, in sede di accusa è ancora una volta il nesso lineare fra la (omessa) visita e l'atto commesso dal paziente che viene stabilito, lasciando intuire che visite, farmaci, ricoveri e magari Trattamenti sanitari obbligatori possano essere gli strumenti che se utilizzati possano prevenire gli atti etero o autoaggressivi del paziente. Convinzioni che è facile avanzare "ex post" e nel mondo ideale ma che andrebbero verificate "ex ante" e nelle condizioni operative reali, tenendo conto di risorse, organizzazione, frequenza e durata delle visite, tempi di attesa, le disponibilità di posti, carichi di lavoro ed al.

Va rilevato che ricoveri, TSO anche protratti non hanno dimostrato di essere efficaci nella prevenzione delle riacutizzazioni dei disturbi e dei reati.  

Se nell'opinione pubblica si diffondono convinzioni irrealistiche circa le competenze dello psichiatra, queste rischiano di creare un grave pregiudizio (un compito professionalmente impossibile) verso l'operato dello psichiatra, specie se operante nel servizio pubblico, ma soprattutto per la cura possibile del paziente.  

Infatti, occorre ribadire che non vi sono metodi scientifici per prevedere e prevenire gli atti dei pazienti, tanto meno per controllarli, in quanto sono multideterminati e rispetto ad essi si può operare una valutazione condivisa dei fattori di rischio e dei possibili benefici tenendo conto sempre dei diritti, consenso e pianificazione condivisa delle cure (legge 219/2017) nella quale rileva la posizione del paziente ("nulla su di me senza di me").
Se questo è il riferimento, non può esservi poi in caso di incidente un ribaltamento della responsabilità solo sullo psichiatra.

Pertanto la posizione di garanzia (art 40 c.p.) specie "di controllo" non può essere attribuita la medico psichiatra che per fare il suo lavoro necessita del "privilegio terapeutico" superando antiquate norme del codice penale. Non si richiede l'impunità dello psichiatra, ma di creare le migliori condizioni per la cura, per creare fiducia, sicurezza, responsabilità e costruire insieme salute, sicurezza e benessere in un percorso sempre molto complesso, difficile, rischioso e travagliato. In questo gli operatori della salute mentale si impegnano ogni giorno e la responsabilità dovrebbe essere istituzionale.

In un periodo nel quale i reati intrafamiliari e i femminicidi sono tra quelli più rilevanti, per prevenirli è necessario creare un contesto operativo chiaro che dia sicurezza agli operatori in prima linea chiamati, dopo la chiusura degli OPG, anche a farsi carico dei pazienti autori di reato spesso con persistenti rischi. Mandarli a processo in caso di incidente, rischia di spingere verso una psichiatria lineare, semplificata, pseudoscientifica, difensiva e neoistituzionale.

Pietro Pellegrini
Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche
Ausl di Parma


30 aprile 2021
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