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Possiamo vedere la paura dentro i nostri occhi, ma vogliamo aiutare

di Lucio Romano

19 FEB - Gentile Direttore,
il 21 febbraio 2020, appena dodici mesi orsono – ovvero un tempo sospeso che ha modificato le nostre vite – a Codogno veniva individuato quello che si pensava fosse il primo paziente. Poi avremmo imparato che non era così, perché il coronavirus circolava già da alcuni mesi.
 
Oggi intravediamo, con non poche difficoltà, un qualche barlume di speranza al fondo di un tunnel, molto più lungo e pericoloso del previsto. La ricerca ha fornito risultati eccezionali, con vaccini elaborati in poco meno di un anno. Terapie in corso di sperimentazione e progressivi perfezionamenti dei trattamenti.
 
Eppure, migliaia i morti in Italia e milioni nel mondo in una progressione che, pur variando quotidiamente per incidenza, sembra ancora inarrestabile. Ad oggi, in Italia, oltre 93.000 i morti; 118.879 i casi da Covid-19 tra gli operatori sanitari,dato non riferito al luogo di esposizione ma alla professione; 324 i medici deceduti. Secondo i dati della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI), sono per ora 81 gli infermieri deceduti per Covid ma in realtà il numero di professionisti deceduti nel 2020 sarebbe ben maggiore.
 
L’INAIL ha pubblicato recentemente un Report, aggiornato al 31 gennaio 2021, sulle denunce di infortunio da Covid-19. Tra le varie attività, il settore della sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili) si conferma al primo posto con il 68,8% del totale delle denunce e il 25,9% dei decessi codificati. A seguire l’amministrazione pubblica (organismi preposti alla sanità, Asl e amministratori regionali, provinciali e comunali) con il 9,2% dei contagi e il 10,7% dei casi mortali.
 
La stessa INAIL ribadisce, però, che i dati pubblicati sono un sottoinsieme del fenomeno osservato a livello epidemiologico dall’ISS, non essendo oggetto della tutela assicurativa Inail, ad esempio, una specifica platea, anche particolarmente esposta al rischio contagio, come quella dei medici di famiglia e dei medici liberi professionisti.
 
Un triste e lungo elenco. “Pensionati o ancora in attività, perché per noi tutti i medici sono uguali e uguale è il cordoglio per la loro perdita. Alcuni dei medici pensionati, inoltre, erano rimasti o erano stati richiamati in attività; alcuni di loro avevano risposto a una chiamata d’aiuto. Perché non si smette mai di essere medici, lo si resta sino in fondo e per tutta la vita,” sottolinea Filippo Anelli, presidente della FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri).
 
In ricordo dei tanti e troppi deceduti, il 20 febbraio si celebra la prima “Giornata nazionale del Personale sanitario, sociosanitario, socioassistenziale e del volontariato”, solennità civile, istituita con la legge n.155/2020 per onorarne il lavoro, l'impegno, la professionalità e il sacrificio nel corso della pandemia di Coronavirus nell'anno 2020.
 
Sono sempre vive le immagini, in questi mesi tragici, di medici e infermieri stremati, segnati dalla stanchezza e dalla strenua volontà di continuare a soccorrere. Spesso invano e con drammatiche decisioni nel tentativo di assicurare in ogni modo l’assistenza anche in evidenti carenze di risorse.
 
Hanno testimoniato concretamente dedizione e professionalità, hanno vissuto paure e speranze: “possiamo vedere la paura dentro i nostri occhi, ma vogliamo aiutare”, come hanno ricordato operatori sanitari coinvolti in prima linea. E poi il sostegno dell’opinione pubblica, spesso con appassionate manifestazioni di vicinanza e riconoscenza. Riecheggiano ancora, tra le innumerevoli iniziative, le note di Mission di Ennio Morricone al violino di Lena Yokoyama davanti all’ospedale di Cremona; il canto che abbraccia all’Ospedale Cardarelli di Napolidegli operatori sanitari e dei donatori di sangue nel pieno della prima ondata pandemica; l'applausodai balconi di tutta Italia per medici e infermieri. Non è questa la descrizione agiografica che tutto magnifica fino a creare miti e leggende. È la sola descrizione oggettiva di fatti accaduti. E questi ultimi mesi, però, senza quel diffuso sostegno sociale che ha caratterizzato i primi tempi della pandemia, segnando così un “prima” e un “poi”.
 
Il “prima” dei medici, operatori sanitari e volontari, celebrati addirittura come “veri e propri eroi” dai media, dalle autorità pubbliche e dai cittadini, con i volti rigati dalle poche mascherine disponibili dopo ore di ininterrotto lavoro fino a cedere alla stanchezza. E in tanti hanno ceduto, sì anche la vita.
 
Il “poi” delle rivendicazioni e della ricerca di colpe; il tempo delle denunce. La storia complessa e conflittuale dell’assistenza sanitaria in questa pandemia, sebbene molti aspetti siano già chiari, non è ancora stata scritta compiutamente e ci vorrà del tempo.
 
Su alcuni drammatici interrogativi posti dalla pandemia il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) ha dedicato Pareri e Mozioni.  Tra questi, in particolare, l’analisi del problematico rapporto tra scarsità di risorse, inadeguate strategie di azione e prevenzione, appropriatezza clinica degli interventi e responsabilità. Fattori che non hanno caratterizzato solo l’Italia ma un mondo che ha dimostrato di essere impreparato a un evento che segnerà la storia del nostro tempo e non solo. E su questi aspetti verteranno contenziosi giudiziari, diversi già in corso, che vedranno coinvolti medici e strutture sanitarie.
 
Le vicende di questi mesi sono state eloquenti, con evidenti divaricazioni da Regione a Regione, tra Governo e regioni. La sanità, materia di competenza concorrente tra Stato e Regioni, pur nella distinzione tra piano normativo che spetta allo Stato e piano gestionale di pertinenza delle Regioni, ha segnato difformità eclatanti sui territori in merito alla programmazione dell’emergenza pandemica.
 
La clausola di supremazia, eliminata con la riforma del Titolo V della Costituzione, avrebbe consentito invece di far prevalere uniformemente gli interessi strategici nazionali. In questi mesi, ad esempio, sono state palesi le gravi inadeguatezze della medicina territoriale, con un sovraccarico assistenziale sugli ospedali non solo riconducibile all’imprevedibilità e gravità della Sars-Covid19. Parimenti la carenza di posti letto, per le terapie subintensive e intensive, e del personale sanitario. E poi estemporanee iniziative sui territori.
 
Certo, molto ancora è da conoscere ma sono evidenti i limiti di organizzazioni sanitarie orientate secondo riferimenti specificatamente economico-finanziari piuttosto che su investimenti finalizzati alla solidarietà nazionale. Sebbene le decisioni assunte a livello statale non possano essere derogate dalle Regioni né da Enti locali, se non per provvedimenti più stringenti motivati da rilevanti e circoscritte complicazioni manifestate nei territori di competenza, abbiamo assistito ad interventi periferici in ordine sparso.
 
Quasi ritenendosi, ogni Regione, disconnessa dalle altre e con destini diversi, a fronte di una pandemia che non conosce confini. Insomma, criticità palesi in alcune regioni considerate modello per tanti e altre in affanno o con servizi sanitari del tutto inadeguati.
Certo non possiamo sottacere la posizione di medici che rifiutano il vaccino. Scelta deprecabile e irragionevole sia sotto il profilo scientifico che etico-morale e deontologico. Posizione che non riconosce il mandato professionale volto alla cura e alla prevenzione, al progresso scientifico, al valore del metodo scientifico. Non ultimo, il rispetto dei sanitari deceduti a causa di Covid-19.
 
Secondo gli ultimi dati GIMBE, i contagi tra gli operatori sanitari si sono ridotti del 64,2% da quando è stata avviata la somministrazione delle seconde dosi di vaccino, con un calo costante registrato ogni sette giorni.
In definitiva, il tempo di questa pandemia ha testimoniato la coerenza degli operatori sanitari e dei volontari, dei medici al dettato del proprio Codice Deontologico secondo i doveri della “tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona”. Non è una enunciazione formale ma è atto concreto di assunzione di piena responsabilità. Un impegno totalizzante.
 
Lucio Romano
Medico chirurgo e docente universitario
Componente Comitato Nazionale per la Bioetica

19 febbraio 2021
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