Screening Covid di massa? Ma senza sparare nel mucchio
di Claudio Maria Maffei
08 GEN -
Gentile Direttore,
è stata
presentata ieri e commentata qui su QS la recentissima circolare del Ministero sulle strategie di testing con i test antigenici. La circolare fornisce importanti indicazioni sui diversi possibili campi di applicazione di questi test tra cui l’utilizzo nelle persone senza sintomi. In questo ambito “l’uso di test antigenici rapidi di prima e seconda generazione può essere raccomandato per testare le persone, indipendentemente dai sintomi, quando si attende una percentuale di positività elevata per esempio che approssimi o superi il 10%:
- nelle attività di contact tracing, per testare contatti asintomatici con esposizione ad alto rischio;
- nelle attività di screening di comunità per motivi di sanità pubblica (es. ambito scolastico, luoghi di lavoro, ecc);
- in contesti sanitari e socioassistenziali/sociosanitari quali comunità chiuse o semichiuse (ad es. carceri, centri di accoglienza per migranti), in aree con elevata trasmissione comunitaria per lo screening periodico dei residenti/operatori/visitatori.”
Dati questi riferimenti, i test antigenici non vanno assolutamente utilizzati in programmi di screening di massa in cui, si sa, la prevalenza attesa di soggetti positivi si aggira attorno all’1%. Che è poi la percentuale che è stata osservata nello
screening effettuato in Provincia di Bolzano. Questo screening molto efficiente nella sua realizzazione (il 65% della popolazione bersaglio esaminata entro tre giorni) e con un grande apparato tecnico-scientifico a supporto è stato un successo in termini organizzativi e di immagine, ma molto meno in termini di sanità pubblica. Lo sforzo messo in campo per una valutazione più compiuta sarò sicuramente utile, pur rimanendo il dato dei positivi identificati molto al di sotto del valore atteso di positivi dato dalla circolare ministeriale come riferimento per la selezione delle popolazioni e gruppi da sottoporre ad eventuale screening coi test antigenici (1% contro il 10%).
Gli stessi promotori della iniziativa
su queste pagine hanno affermato che: “E’ difficile stabilire ora quali siano state le reali ripercussioni dello screening sui principali indicatori di rischio provinciali. Certamente si è assistito ad un miglioramento dello scenario generale con diminuzione delle frequenze giornaliere di casi positivi e medie mobili settimanali”.
E poi hanno concluso che “l’esperienza è stata molto significativa per la Provincia e per l’Azienda sanitaria che ha “rodato” una macchina organizzativa eccezionale molto utile nelle prossime settimane per avviare le procedure di vaccinazione della popolazione ma il fenomeno più importante rimane la straordinaria partecipazione del pubblico che ha aderito oltre le aspettative all’iniziativa costituendo il più alto esempio di democrazia partecipativa in questa realtà del Paese.”
Insomma, viene descritto come un programma di sanità pubblica ad alto assorbimento di risorse (4,5 milioni di euro circa) che non generando in sé risultati sanitari documentati (e probabilmente non documentabili) ha però creato una forte sinergia tra cittadini ed istituzioni. E’ un importante risultato se era questo l’obiettivo. Basta saperlo e poterselo permettere.
Rimane oltretutto il problema nella esperienza pur importante di Bolzano della mancata verifica con il test molecolare delle false posività ai test antigenici che anche nel caso di una specificità del 99% (decisamente alta) potrebbe aver dato un numero di falsi positivi vicino teoricamente al numero totale di soggetti positivi identificati. Che il problema dei falsi positivi si ponga lo confermano alcuni dati ancora aneddotici di altri programmi regionali di screening come quello
previsto in Sardegna dove, nel “giro di prova “ fatto nell’Ogliastra in attesa dello screening generale che dovrebbe partire a gennaio, presso il
Comune di Tortolì “I test hanno confermato 19 positività, su 5331 tamponi effettuati. I restanti 11 si sono rivelati falsi positivi.”
Perché nel frattempo altre Regioni si sono mosse con livelli di efficienza però molto più bassi rispetto a quello della Provincia di Bolzano con programmi diluiti nel tempo (il che è già un grosso limite) a basso tasso di partecipazione.
Questo è il caso della Regione Marche dove finora in un programma scaglionato in più settimane che con l’aggiornamento di oggi ha registrato
questi dati ufficiali: “Complessivamente nella Regione Marche da venerdì 18 dicembre hanno aderito 98.531 persone con 577 casi positivi. In totale la percentuale di positività è pari allo 0,6% mentre la percentuale di adesione sulla popolazione target è dell'8,2%. I casi positivi rilevati sono stati sottoposti al tampone molecolare.” Dei dati sui tamponi molecolari non si sa nulla a distanza di tre settimane dall’inizio della Operazione Marche Sicure.
Bassa partecipazione, ma comunque più alta di quella registrata nelle Marche, c’è stata anche in
Provincia d L’Aquila (29,2%) dove sono stati
registrati i seguenti dati: “Dei 327 casi positivi, asintomatici, scovati in provincia a seguito della campagna di screening effettuata con i test antigenici rapidi, i tamponi molecolari hanno confermato il contagio per 269. In 58 casi, invece, il test di verifica è stato negativo.” Lo screening di massa proseguirà nelle altre Province della Regione.
In tutti i casi la politica si dichiara soddisfatta quando non addirittura entusiasta di questi programmi cui in base al contenuto della Circolare Ministeriale appena uscita bisogna, a mio parere, porre forse argine.
Usare tante risorse negli screening di massa per ottenere risultati documentabili solo (eventualmente) in termini di consenso e “clima” è pratica di politica sanitaria che andrebbe valutata criticamente. La Circolare stessa dà indicazioni su dove concentrare le attività di testing “prendendo la mira”. Perché allora “sparare nel mucchio”?
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on
08 gennaio 2021
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