Perché tutta questa enfasi sulla telemedicina non mi convince
di Pietro Cavalli
07 GEN -
Gentile Direttore,
i ripetuti proclami relativi alla “telemedicina”, proposta come una delle prossime soluzioni ai problemi di una sanità messa alle corde dalla pandemia covid19, sembrano troppo belli per essere veri, quasi che l’utilizzo delle tecnologie informatiche debba riuscire miracolosamente a risolvere i grandi problemi della disastrata sanità pubblica.
Una condizione drammatica che risulta, oltre che dall’esperienza diretta, anche dai dati dell’Annuario Statistico del SSN presentati recentemente da Luciano Fassari
sulle pagine di QS. Al 2018 risulta una perdita di più di 2.000 MMG con una riduzione del 5,2% delle strutture sanitarie pubbliche (il privato ne guadagna invece il 7,2%). E non sembra affatto che la situazione negli ultimi due anni sia migliorata.
Invece di riflettere su questi dati ed i motivi li hanno determinati, invece di fare una analisi approfondita della condizione attuale per evidenziare e possibilmente rimuoverne la cause , ecco che dal cilindro sbuca una soluzione destinata a divenire il mantra del prossimo futuro: la “telemedicina”, appunto.
Ovviamente con una atteggiamento fideistico, privo di una riflessione sugli effetti determinati dalle differenti possibilità di utilizzo dei sistemi informatici applicati alla medicina, quali il monitoraggio a distanza (remote care) di parametri misurabili in pazienti cronici (respiro, saturazione, pressione, glicemia…), la somministrazione di indicazioni relative al governo della salute di alcuni pazienti (telehealth) mediante l’invio di messaggi, SMS, consultazione telefonica ecc, televisita vera a propria, quest’ultima utilizzabile in corso di pandemia covid, ma assai discutibile in caso di necessità di una esplorazione rettale.
L’analisi dei dati di letteratura fornisce risultati contrastanti sull’efficacia di quella che impropriamente viene definita “telemedicina”, senza alcuna distinzione tra le applicazioni elencate sopra. La Cochrane Library ha individuato invece almeno sei categoria di applicazione della telemedicina: monitoraggio; followup riabilitativo; intervento educativo; valutazione specialistica; valutazione dello stato clinico; screening per la depressione.
La misurazione dell’efficacia di tali interventi di “telemedicina” appare assai dubbia e certamente i risultati non sembrano per nulla entusiasmanti, con l’ovvia eccezione del monitoraggio a distanza. Sempre secondo la Cochrane Library il bilancio degli interventi comunemente compresi sotto il termine “telemedicina” non presenta alcun vantaggio rispetto alla “medicina in presenza”, anzi talvolta è addirittura negativo, perlomeno riguardo a tumori, cardiopatie, demenza, riabilitazione post ictus, sclerosi multipla, talassemia, diabete tipo 2, malattie renali croniche. In dermatologia la sensibilità diagnostica della televisita nell’individuazione del melanoma varia dal 59% al 100%, mentre i falsi negativi (missed diagnosis) possono arrivare al 41%.
A questo punto varrebbe la pena di analizzare l’argomento in maniera approfondita ed individuare, magari sperimentare, la tipologia di intervento che presenta maggiori probabilità di successo, con una fase intermedia di valutazione dell’ efficacia. Clinica, non solo economica.
A fronte di una sicuro ed ulteriore contenimento di personale, è infatti forte il timore che le fumose proposte e LLGG italiane relative alla “telemedicina” abbiano lo scopo principale di sottrarre risorse economiche ad una sanità che cerca disperatamente di sopravvivere, nonostante il covid e le politiche regionali.
A chi pensa che questi timori siano infondati, giova ricordare che l’attuale situazione critica del SSN è legata ai tagli ed alla riduzione dei finanziamenti, per i quali vengono sì riconosciute le responsabilità della politica locale e nazionale, dimenticando però che molti interventi che hanno portato alla crisi attuale sono basati sulle pervasive teorie di “esperti” di economia sanitaria che non hanno mai letto Porter, Kaplan, Haas. Come troppo spesso accade, ci si dimentica di considerare che ogni evento riconosce specifici momenti causali e che l’esclusione assoluta dalla sfera decisionale dei medici a favore di personaggi dei quali non si serberà alcuna memoria e assai lontani dalla nomination per il premio Bernàcer, costituisce almeno una concausa della attuale condizione.
E’ giusto riconoscere il merito degli azzeccagarbugli, dei nominati, dei politici di seconda fila che si sono impegnati al massimo nel tentativo di distruggere la sanità pubblica. Sarebbe tuttavia ingeneroso non riconoscere il ruolo decisivo degli “esperti” di economia e gestione sanitaria che hanno fornito basi teoriche e modelli organizzativi per condurci diritti verso il disastro.
La loro responsabilità è testimoniata da un intervento implacabile, pervasivo ed autoreferenziale, in cui l’esclusione della figura del medico e l’ignorante applicazione di modelli aziendalistici è riuscita nel difficile intento di portare la sanità pubblica al collasso. Ora possiamo finalmente toccare con mano i grandi risultati ottenuti, quali l’elevato livello di insoddisfazione dei pazienti (verificabile dai numeri del contenzioso sanitario), assieme alla realizzazione di una medicina amministrata ed amministrativa, in grado di mettere in crisi il ruolo stesso del medico. Oggi la pandemia fa scoppiare il bubbone della sanità pubblica e riconosce finalmente il giusto merito (anche) agli “esperti” di economia sanitaria, al loro martellante lavaggio del cervello, ai loro modelli organizzativi, alla marginalizzazione della figura del medico.
Quindi nessuna metafisica, nessuna trascendenza, nessuna ineluttabilità: i tagli alla sanità pubblica non sono l’esito di un intervento divino ma rispondono a precise ed individuabili responsabilità.
Questo modello tutto italiano delle decisioni prese in assenza di analisi complessive e di verifiche successive e nel quale latitano la raccolta e la disponibilità di dati credibili, sta facendo capolino anche per quanto riguarda la proposta di nuovi modelli organizzativi nel SSN.
Non stupisce quindi che all’analisi delle cause del disastro sanitario attuale venga preferita una disinvolta piroetta, che, lungi dal definire percorsi di revisione della realtà sanitaria, individua nella “telemedicina” la soluzione a tutti i nostri problemi. Naturalmente senza alcuna verifica e senza alcuna analisi dei dati disponibili, senza alcun modello di riferimento, senza una visione complessiva, semplicemente con la presunzione dello sciocco che vede il dito che indica la luna senza magari accorgersi che il cielo è pure nuvoloso. Naturalmente escludendo i medici da ogni progetto che li riguarda direttamente.
In termini concreti pare proprio che durante la pandemia in corso i nostri magnifici consulenti, i mirabili azzeccagarbugli, gli incapaci nominati dai politici di mezza tacca abbiano respirato l’aria inebriante della comunicazione “smart”, arrivando alla conclusione che le medesime tecnologie si possano trasferire alla gestione e cura dei pazienti. Con il risultato di mettere in secondo piano la revisione degli organici e del personale, l’aggiornamento della dotazione strumentale, la sanità del territorio, la necessità di risorse, la ri-valutazione dei modelli organizzativi.
Come è già stato detto, non esiste la “telemedicina” tout court. Esistono invece possibilità interessanti in grado di utilizzare al meglio la tecnologia attuale nella gestione di alcune patologie e per talune categorie di pazienti e per le quali sarebbe doveroso e necessario disporre di dati, prima di pensare alla loro introduzione nella normale pratica medica. Macchè: la capacità di analisi non sembra essere un requisito importante nella gestione della sanità pubblica e quindi, come sempre, assistiamo ad un proposta calata dall’alto (Conferenza Stato Regioni) e, come sempre, in maniera acritica e impositiva.
Ci sarà da divertirsi. Anche perché, tra software-house a dipendenza/relazione regionale, nuove forniture hardware, ulteriori consulenti ed esperti, enormi interessi e grandi pressioni economiche, frammentazione del mondo medico, appare difficile anche solo ipotizzare un qualsivoglia approfondimento nel merito e nel metodo. Resta da verificare quale potrà essere la gestione online di un dolore precordiale, di un linfonodo ingrossato, di un calo ponderale, di una ritenzione urinaria. Insomma diventerà un trascurabile dettaglio anche quello che un tempo veniva compreso nei testi e negli esami di patologia/clinica medica e patologia/clinica chirurgica?
Che poi anche l’Harrison abbia un intero capitolo dedicato all’importanza del rapporto medico-paziente ormai non sembra avere alcuna importanza. La sanità privata e le medicine alternative ringraziano.
Pietro Cavalli
Medico
07 gennaio 2021
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