Libera professione, perché solo per i medici?
di Calogero Spada
03 SET -
Gentile Direttore,
nel 2009 (XVI legislatura) venivano presentati 3 ddl: il n. 2146 a firma Minardo, Fallica, Garofalo e Palmieri (PdL); il n. 2355 a firma Di Pietro, Mura e Palagiano (IdV) e il n. 2529 a firma Scandroglio, Patarino, Beccalossi, Biasotti, Carlucci e Gava (PdL); tutti riguardanti l’esercizio della libera professione da parte del personale sanitario di cui alla l. 43/06, dipendente da amministrazioni pubbliche (Ssn).
A parte alcuni leitmotiv di probabile attuale discordanza - ad esempio la «forte carenza di professionisti infermieri, di tecnici sanitari di radiologia medica e di altri operatori delle professioni sanitarie», fenomeno oggi invece probabilmente caratterizzato da un (pur variabile) esubero formativo che sommato alla liberalizzazione del mercato del lavoro produce forti squilibri nel meccanismo di domanda/offerta all’interno dello stesso, come anche quelli di evidente convalida, quali i «notevoli cambiamenti della situazione epidemiologica registratisi negli ultimi anni, l’aumento della vita media, l’aumento delle cronicità e delle complessità di molte patologie e il mutamento delle condizioni sociali generali», aspetto certamente drammaticamente enfatizzato dalla pandemia covid-19 - l’argomento “core” di invariabilità che queste proposte di legge volevano risolvere, che pure ha visto l’eccentrico e camaleontico atteggiamento del governo Italiano, tra comma 566 l. 190/2014 e Sentenza Consulta 54/2015, è la discriminazione operata da un quadro normativo su base alquanto vetusta, che prevede la possibilità di esercizio dell’attività L.P. esclusivamente in capo ai medici delle Strutture Sanitarie pubbliche,
peraltro in singolare deroga verso il principio generale che inquadra e sostanzia il criterio dell’unicità del rapporto di lavoro del pubblico dipendente, radicandolo nel concetto di “completa dedizione allo Stato di colui che ha un rapporto organico con la P.A.”.
Altri aspetti assai perplimenti sono: la percezione di una specifica “indennità di esclusività”, non analogamente prevista per il “coatto” personale dell’area comparto e la possibilità di accedere – in ogni caso – alla funzione di dirigente di struttura.
Pertanto sussistono dei “peccati originali” che, unitamente alla assenza di elementi tecnici, professionali e deontologici legittimanti, tutt’ora giustificano la posizione: perché ai medici sì e a tutte le atre figure professionali sanitarie no?
L’iter legislativo di tali ddl (poi “abbinati” ad altra proposta di legge pur non vertenti affattosu «materia analoga»: trasparenza nella nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere) su cui a lungo si è propagandata una “attenta vigilanza” anche da parte dei sindacati, si è ben presto arenato e poi andato definitivamente nel dimenticatoio, proprio in virtù dell’ambiguo atteggiamento del governo della legislatura successiva, in un non inedito gioco della patata bollente tra competenza legislativa concorrente tra attribuzioni statali e regionali, principio di sussidiarietà e potestà legislativa esclusiva statale ai sensi dell'articolo 117 Cost. .
A fronte di tutto ciò non può non osservarsi, infine, il silenzio delle organizzazioni rappresentative professionali, su cui peraltro graverebbe il compito di caratterizzare inequivocabilmente il processo assistenziale al fine di definire propriamente a chi porre in capo il rapporto contrattuale del paziente che accede alla prestazione a pagamento, enti che in virtù delle posizioni istituzionali introdotte dalla l. 3/2018 avrebbero potuto e dovuto far sentire la propria forte ed autorevole voce a tutela degli interessi dei propri iscritti, dopo un – pure da più sedi rivendicato – “costante pressing” che aveva dato luogo proprio alle convergenze di ddl poi caduti nel nulla; progetti legislativi che, a fronte del numero dei professionisti interessati (un vero esercito di oltre 700.000 persone), potrebbero benissimo essere riproposti in forma di proposte di iniziativa popolare, sempreché i medesimi diretti interessati abbandonino la veste intellettuale ancillare e prendano definitiva consapevolezza delle responsabilità che ricadono su una figura professionale il cui valore e collegata “spendibilità” è già stigmatizzata dalla iniziale selezione a numero chiuso che ne determina il primo accesso.
In un attuale contesto recessivo ove il Pil Italia cala del 12,8% nel secondo trimestre, lo sviluppo di nuovi ambiti lavorativi, con conseguente recupero di entrate fiscali e contributive viaggerebbe parallelamente agli altri anelati elementi di una ripartenza che ancora stenta a decollare e promuoverebbe pragmaticamente – sarebbe proprio ora – quei professionisti prima definiti “eroi” ma poi, in soldoni, trattati – anche per propria colpa – come servi della gleba di un nuovo medioevo: devono lavorare, pagare i tributi e non pensare mai ...
Viene spontaneo pensare: Ci sarà anche un nuovo Umanesimo e Rinascimento?
Speriamo di non attendere invano un altro decennio.
Dr. Calogero Spada
Dottore Magistrale
Abilitato alle Funzioni Direttive
Abilitato Direzione e Management AA SS
Specialista TSRM in Neuroradiologia
03 settembre 2020
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