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L’embriologo clinico e l’importanza di un riconoscimento professionale

di Stefania Mammì

27 LUG - Gentile Direttore,
voglio raccontarle del mio ultimo intervento al webinar della SIRU su un tema da me particolarmente sentito: il riconoscimento istituzionale della figura dell’embriologo clinico, oggetto di una mia recente interrogazione rivolta ai ministri Speranza e Manfredi. Proprio partendo dal ruolo chiave nell’ambito della riproduzione medicalmente assistita ricoperto da questa categoria professionale, che reputo particolarmente funzionale non solo nella sanità pubblica, ma anche nel privato, vorrei evidenziare quanto sia importante garantirne il giusto riconoscimento formale, addivenendo ad una definizione legale della figura dell’embriologo clinico. Approfitto della sua ospitalità per ribadire l’importanza di stare al fianco di questa categoria di professionisti per sostenere la rivendicazione di un diritto che gli spetta a pieno titolo.

Ritengo sia fuori d’ogni dubbio che l’attuale disciplina concorsuale prevista dal DPR 483 del 1987, in base alla quale un biologo per essere assunto in una struttura pubblica deve aver conseguito un qualsiasi titolo di specializzazione, seppur estraneo all’ambito della medicina della riproduzione, sia davvero qualcosa di assurdo che necessita un intervento correttivo.

Per questo, raccogliendo anche le sollecitazioni della stessa SIRU, ho rivolto una specifica interrogazione ai ministri della salute e dell’università e della ricerca, per invitarli a trovare una risposta a questo vuoto normativo, suggerendogli di creare dei percorsi di specializzazione universitaria in embriologia clinica o, quantomeno, l’inserimento di tale percorso in altra specialità, come potrebbe essere quella di patologia clinica, prevedendo un percorso formativo e didattico adeguato che garantisca l’acquisizione degli strumenti di scienza e conoscenza necessari per svolgere i compiti propri della figura dell’embriologo clinico che, nel corso degli anni si è andata sempre più evolvendo di pari passo allo sviluppo delle biotecnologie.

D’altronde se in Italia possiamo vantare la presenza di importanti centri di Riproduzione medicalmente assistita è proprio grazie a degli ottimi laboratori al cui interno operano figure di alta professionalità. I biologi embriologi clinici forniscono, infatti, un fondamentale apporto scientifico all’interno dei centri di Riproduzione medicalmente assistita e nei laboratori di andrologia, dove la diagnostica e quindi la scelta della terapia medica, viene presa proprio sulla base di elementi che vengono forniti da queste figure. Tuttavia, nonostante che l’evoluzione giurisprudenziale abbia condotto al riconoscimento di ruoli di responsabilità in capo agli embriologi clinici, che richiedono una profonda conoscenza dei gameti maschili e femminili e dell’embrione nelle procedure di riproduzione medicalmente assistita (penso in particolare alla diagnosi pre-impianto o ai processi di crioconservazione), a fronte di tutto questo non esiste ad oggi un percorso di formazione ad hoc per gli embriologi clinici, né tantomeno è stato ancora modificato il quadro normativo di riferimento della riproduzione medicalmente assistita, cioè la Legge n. 40 del 2004.

Su questo punto ringrazio ancora la SIRU per lo sviluppo di una interessante e articolata proposta di legge che si prefigge di adeguare la tutela della salute riproduttiva all’evoluzione giurisprudenziale e normativa, nonché ai progressi compiuti in ambito scientifico.

Lo scorso anno ho presentato anche io una proposta di legge volta al superamento delle numerose incongruenze insite nella legge 40 e per armonizzarne le disposizioni proprio con le sentenze delle varie corti che, nel corso di quasi 20 anni dalla sua entrata in vigore, l’hanno sostanzialmente riscritta.

Se è vero che gli embriologi clinici che operano nei centri di riproduzione medicalmente assistita siano figure estremamente competenti, che hanno seguito lunghi e complessi percorsi formativi, anche all’estero, in possesso quindi di tutto il bagaglio culturale necessario ad eseguire al meglio le loro prestazioni, d’altra parte proprio questa eterogeneità formativa, in assenza di un riconoscimento formale, può generare disparità tra i professionisti nell’inserimento del contesto lavorativo, specie nella sanità pubblica.

D’altronde constatiamo anche quanto questa carenza formativa abbia condotto le varie regioni a stabilire, nell’ambito delle rispettive normative regionali di autorizzazione dei centri di riproduzione medicalmente assistita, dei criteri disomogenei per definire la professionalità richiesta dagli embriologi. E’ evidente quindi quanto il mancato riconoscimento istituzionale della figura dell’embriologo clinico comporti un grave pregiudizio per l’inserimento nelle strutture ospedaliere  di tanti professionisti che, per accedervi, devono essere in possesso di un titolo di specializzazione. Come esposto nella mia interrogazione, per consentire il giusto inquadramento professionale ai tanti professionisti già in servizio, alcuni già da molti anni, presso i centri di riproduzione medicalmente assistita, potrebbero essere individuati dei criteri di accesso al ruolo dirigenziale alternativi alla frequenza di una scuola di specializzazione. Suggerisco di invitare le regioni a individuare nel proprio territorio i professionisti da inquadrare e definire appunto tali criteri alternativi, che possano testimoniare le competenze acquisite dagli stessi nel corso degli anni (come Master, corsi di perfezionamento o dottorati di ricerca).

Auspico quindi che i Ministri interrogati assumano presto delle iniziative, a partire dal riconoscimento formale della figura dell’embriologo clinico.

Stefania Mammì
Deputata, M5S


27 luglio 2020
© Riproduzione riservata

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