Con il Mes, dalla sanità delle prestazioni a quella dei bisogni
di Nicola Preiti
24 LUG -
Gentile direttore,
pensavo che “come un sol uomo”, la sanità tutta scendesse in piazza o almeno nei social, per richiedere l’immediato utilizzo dei 37 miliardi del MES, già disponibili. Invece si vedono fibrillazioni poco efficaci. Eppure, dal punto di vista sanitario, l’unica condizionalità prevista, è una garanzia: i soldi vanno spesi in sanità.
Il mondo della sanità è legato alla concretezza dei bisogni dei cittadini, della erogazione dei servizi; all’esperienza diretta delle problematiche organizzative del SSN, alla visione delle necessità future del sistema.
Non può quindi lasciarsi impelagare in tatticismi e condizionamenti ideologici anacronistici. Bisogna chiedere con forza alla politica, tutta, responsabilità, rapidità di intervento e visione.
Lo abbiamo visto, proteggere il SSN serve a proteggere la società, l’economia, lo sviluppo. Speriamo che presto il senso di realtà prevalga, e si utilizzino i fondi MES.
Ma è solo il primo (e relativamente semplice) passo.
Si tratta poi di decidere del loro efficace utilizzo per evitare di sprecare l’occasione, unica ed irripetibile, per potenziare e modernizzare il SSN.
E qui il mondo della sanità dovrebbe mettere tutte le sue idee per un disegno strategico di un nuovo SSN, da immaginarsi non come evoluzione del presente ma come sua rigenerazione.
Senza un cambio di prospettiva e una visione organica del futuro assetto del SSN, sul quale collocare gli investimenti, l’occasione a mio avviso andrà sprecata.
Questa logica presuppone come primo obiettivo la digitalizzazione del sistema sanitario.
Ciò rende possibile la innovativa organizzazione del sistema, una efficace gestione dei servizi e comporta un adeguamento della attività professionale di tutti gli operatori della sanità.
In tal modo il sistema diventa in grado di rilevare e prevenire i bisogni dei cittadini. Diventa in grado di adattare l’organizzazione e i servizi alle esigenze, di coordinare e gestire le prestazioni e gli interventi in modo nuovo. Sarebbe una “presa in carico” reale, attiva e reattiva.
Il cittadino non deve più fare file e rincorrere prestazioni e trattamenti, gli “arrivano a casa” perché se ne fa carico il sistema.
E sull’altro versante (ad esempio) si recupererebbe molto tempo per i medici di famiglia da dedicare alla professione medica, scaricandoli dalla burocrazia.
Con conseguenti benefici assistenziali, di appropriatezza e di efficienza del sistema.
Questo richiede naturalmente, ed è il secondo grande obiettivo, una governance forte nel territorio, dove vive il cittadino, quindi del Distretto. Una strutturazione in rete dei servizi in grado di ricondurre all’unità quello che per sua natura è diffuso. In modo che ogni livello, ogni operatore, ogni attore sia parte del sistema e ad esso risponda. Non resisterà al futuro, indipendentemente dal rapporto contrattuale, il medico che lavori isolato dal sistema, dalle altre realtà assistenziali del suo territorio e dagli altri professionisti.
E’ qui che si deve decidere del bisogno sanitario e della sua gestione. Poi ogni livello di erogazione conforma la sua organizzazione in modo interattivo per meglio rispondere ai bisogni del cittadino.
Questo cambio complessivo di assetto produce integrazione vera. Quella che toglie motivo per gli affollamenti dei Pronto Soccorso, che supera il concetto delle liste d’attesa, che va oltre il classico dilemma ospedale/ territorio. Quella che dà al cittadino quello che gli serve.
Qui non si tratta insomma di mettere un po’ di soldi in più qui o là. Di investire qualche miliardo in più nel territorio piuttosto che nell’ospedale o viceversa.
Si tratta di costruire un sistema sanitario nuovo per il quale le risorse del MES sono indispensabili.
Il ministro Speranza ha dichiarato oggi di lavorare ad un “grande piano per una rivoluzione copernicana del sistema”. Vedremo i contenuti, ma la strada credo sia questa.
Nicola Preiti
Neurologo
Perugia
24 luglio 2020
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lettere al direttore