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Nei Cda delle Rsa dovrebbero sedere anche i dipendenti

di Cosma Francesco Paracchini

10 APR - Gentile Direttore,
da quel fine settimana del 21 febbraio siamo tutti coscienti che il coronavirus, dipinto inizialmente da alcune “eccellenze” di questo Paese (non da fake news) come una sindrome febbrile un po' più forte della classica febbre, in realtà nascondeva una pandemia già in circolo da qualche mese. In quel momento le case di riposo italiane, lasciate al loro destino, celavano la bomba sociale del Covid-19 e l’anomala perdita di vite umane tra gli ospiti, piuttosto che il contagio generale del personale, dei parenti degli ospiti e degli ospiti stessi.
 
Nella fase iniziale ha infatti prevalso l’incapacità decisionale: la non pronta chiusura delle case di riposo alle visite dei parenti degli ospiti, la non tempestiva chiusura dei centri diurni e dei servizi integrati offerti dalle RSA alla popolazione, l’impossibilità di un ricambio dei DPI (in alcune realtà mancanti del tutto). 
 
E’ emerso, da parte dei vari operatori delle RSA, la richiesta iniziale di estendere i tamponi a tutti gli ospiti e al personale in servizio, oltre che a pretendere la somministrazione di una terapia antivirale. In molte RSA è prevalsa anche l’incapacità di agire tempestivamente non isolando gli ospiti ammalati da quelli sani, causando poi un’ecatombe che ormai iniziamo a conoscere seppur parzialmente. Sono rare le realtà in cui i responsabili hanno saputo agire prontamente limitando i danni ad ospiti e al personale.
 
Purtroppo nella maggioranza di queste strutture sanitarie, si è deciso di agire con notevole ritardo, spesso in maniera propagandistica oltre che confusionale. Ad ogni modo a danno ormai compiuto. A questi amministratori, altro che scudo giuridico: tolleranza zero! Ribadisco la mia approvazione per uno scudo giuridico per il personale sanitario e le varie strutture o istituzioni, ma nessuna flessibilità nei confronti di responsabili mediocri ed incapaci.
 
Attualmente la preoccupazione maggiore, che accomuna a tutti gli operatori sanitari delle RSA, è il futuro delle “case di riposo”. Si teme per il posto di lavoro di migliaia di dipendenti considerato che molte strutture hanno visto dimezzarsi, se non quasi azzerarsi il numero degli ospiti. Nemmeno si è a conoscenza del numero di persone ancora viventi presenti nelle liste d’attesa presso le ATS pronte ad entrare nelle RSA. Si sospetta che quell’elenco di candidati si sia dimezzato con la conseguenza, appena citata, che molti operatori perderanno il posto di lavoro grazie all’operato delle “eccellenze” sarcasticamente citate.
 
Dunque cosa ci ha insegnato questa condanna divina? Che la vita di una persona anziana - magari con deficit cognitivi di carattere neurologico, o comunque con un quadro clinico compromesso o con criticità - non conta nulla. Non venitemi a raccontare il contrario perché la realtà, causata anche dal dio denaro, è sotto gli occhi di tutti. In ogni caso al termine di questa pandemia sarà obbligo un confronto col mondo politico per attuare una misura di revisione del ruolo della politica nei CdA delle case di riposo. In avvenire auspico che i dipendenti di queste strutture abbiano, nei CdA, un ruolo decisionale di maggioranza e la politica esclusivamente di controllo e di suggeritore.
 
Solo in questo modo le case di riposo possono pensare di avere un futuro solido e affidabile, considerato che difficilmente un dipendente, posto nel CdA di una RSA, possa in qualche modo mostrare disinteresse per gli ospiti, per la propria struttura e di conseguenza per il proprio posto di lavoro.
 
Cosma Francesco Paracchini
Massofisioterapista, Brescia   

10 aprile 2020
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