Coronavirus. I conflitti tra Governo e Regioni di cui volentieri faremmo a meno
di Renato Mele
26 FEB -
Gentile Direttore,
una non più recente pubblicazione dal titolo “L’economia italiana e il paradosso della produttività” (Giuseppe Schlitzer: L’economia italiana e il paradosso della produttività - Liuc Papers n. 285, Serie Economia e Impresa 77, giugno 2015) dedica una particolare attenzione agli effetti della riforma del titolo V della Costituzione, che ha innescato un processo di decentramento fiscale e amministrativo, soprattutto a favore delle Regioni, di portata tale da non avere uguali in nessun altro paese europeo.
Tale riforma, avvenuta nel 2001 ad appena pochi giorni dallo scadere della precedente legislatura con soli cinque voti di scarto, la dice lunga sulla mancanza di concordia che ha accompagnato questa vera e propria rivoluzione costituzionale, voluta dall’allora governo di centrosinistra per stoppare, anticipandole, le richieste federalistiche della Lega Nord. Non dovrebbe essere possibile cambiare la Costituzione con solo cinque voti di scarto. Purtroppo è quello che si è verificato.
L’opinione espressa in questa analisi è che tale passaggio di competenze non a caso corrisponde temporalmente al declino della produttività del paese, ferma appunto da circa venti anni. A distanza di cinque anni queste valutazioni sembrano ancora più condivisibili. Appare ormai evidente che la notevole discrezionalità, spesso male utilizzata, affidata alle autonomie locali si è tradotta in un aumento significativo dell’imposizione fiscale e tariffaria ed ha complicato la vita dell’attività d’impresa, favorito la corruzione e ritardato lo sviluppo infrastrutturale del Paese. E pensare che l’obiettivo ipocritamente dichiarato di tale riforma era quello di snellire le istituzioni, renderle più vicine alle realtà locali e ridurre le spese. Cioè l’esatto contrario di quanto possiamo tutti banalmente constatare.
Per buona misura organismi amministrativi si sono trasformati in organismi politici, con tutta una serie di comportamenti e di conflitti legati all’appartenenza politica più che agli obblighi di una buona amministrazione.
Il settore che più ha subito una radicale trasformazione è stato certamente quello sanitario, sul quale, non a caso, tutte le regioni si sono precipitate a trasformare in atti concreti e irreversibili le loro nuove competenze. Teniamo conto che cedere alle regioni la gestione della sanità ha significato affidare loro una fetta gigantesca del bilancio pubblico. Non esiste altra voce di spesa più importante dal punto di vista economico, trascurando la rinuncia all’equità sociale di un sistema sanitario veramente uguale per tutti. E che ormai tale non è più.
Risultato: esplosione della spesa sanitaria, politicizzazione esasperata della sanità all’interno delle regioni e nei confronti del governo pro tempore, tante sanità diverse quante le regioni.
Come se non fossero bastati tutti questi anni a dimostrare l’effetto dirompente di tali nuove competenze (al di là di singole eccellenze che sarebbero state tali anche senza l’attuale autonomia), oggi viviamo, di fronte ad una emergenza, quella del Coronavirus, che richiederebbe un’azione più unica che congiunta, una serie di fastidiosi e talvolta imbarazzanti conflitti tra governo e regioni di cui volentieri faremmo a meno e che non fanno certo bene né all’Italia né agli italiani.
Al di là delle dichiarazioni di facciata, sarà ben difficile che le regioni accettino, dopo aver goduto di una enorme quanto immeritata autonomia, qualsiasi forma di ridimensionamento. Ed il bello è che la Costituzione dà loro ragione.
Dottor Renato Mele
Rappresentante toscano nella Consulta Enpam della libera professione
26 febbraio 2020
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