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Punti nascita. Non contano solo i numeri

di Pietro Cavalli

11 FEB - Gentile Direttore,
con il titolo:  “Neonati: ecco i reparti da evitare – sotto gli standard di sicurezza”, il 10 febbraio 2019 il Corriere della Sera pubblicava un articolo basato su informazioni  dall’assessorato  Welfare di  Regione Lombardia, a proposito della chiusura/ridimensionamento di numerose terapie intensive neonatali (TIN) secondo il progetto di riorganizzazione  regionale. Tale progetto, si afferma, è basato sulla numerosità dei casi trattati e quindi costituisce una inevitabile conseguenza del recepimento regionale del DM 70/2015.
 
Tra i “reparti da evitare” c’è anche la Terapia Intensiva Neonatale (TIN) dell’ospedale di Cremona che, a fronte di una numerosità adeguata al bacino di utenza, presenza indicatori di esito (mortalità e morbidità) nettamente migliori rispetto alla media nazionale (VLBW e ELBW 30,1% vs 39,8% - dati Vermont Oxford database: disponibile a  https://public.vtoxford.org/data-and-reports/: )  

Se i reparti da evitare son quelli che garantiscono risultati in termini di salute al di sopra della media, c’è da non capirci più nulla. Oltre al fatto di screditare pubblicamente ed ingiustamente una intera struttura che sta faticosamente lavorando sodo per superare una difficile situazione in cui è sprofondata proprio a causa di precedenti  scelte direzionali possibilmente condivise con Regione Lombardia.  

Va tuttavia ricordato che lo stesso DM 70/2015 non fa rifermento solo ai volumi di attività/ricoveri ma anche agli esiti dell’assistenza  (punto 4.2:  “Per numerose attività ospedaliere sono disponibili prove, documentate dalla revisione sistematica della letteratura scientifica, di associazione tra volumi di attività e migliori esiti delle cure (ad esempio mortalità a 30 giorni, complicanze od altri esiti)).  E’ difficile infatti ritenere che anche un Ministro della Salute su cui ora si fanno ricadere tutte le scelte impopolari (Lorenzin) si sia dimenticato che, altre alla numerosità della casistica, debbano venire considerati anche gli esiti degli interventi terapeutici ed assistenziali. Altrimenti si potrebbe anche sostenere che concentrare molti pazienti in un’unica struttura sia di per sé indice di buona assistenza, indipendentemente dagli indici di esito più importanti per i pazienti, quali mortalità e morbidità.

Se invece, ed è sempre scritto sul DM 70/2015, si considerano solamente i numeri relativi ai  bacini di utenza, spiace segnalare che la medesima criticità vale anche per numerosi altri reparti dell’ospedale di Cremona: ematologia, dermatologia, malattie infettive, etc. etc.

Una modesta proposta: chiudiamo tutti i reparti ospedalieri pubblici con numeri non conformi al DM 70 e poi, visto che l’utenza si riduce, chiediamoci se valga la pena mantenere in vita delle strutture che lavorano sempre meno.  

E l’utenza?  Bah, che si arrangi. Tanto la Lombardia è grande, strade e treni funzionano perfettamente e  la sanità non può che migliorare, magari con l’aiuto del (al)  privato.  

Pietro Cavalli
Medico


11 febbraio 2020
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