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Le competenze infermieristiche avanzate e la dignità di questa professione

di Dario Valcarenghi

30 GEN - Gentile Direttore,
le pratiche infermieristiche avanzate si sono sviluppate in USA/Canada (anni `60) e poi nel Regno Unito (anni `80), con l’istituzione di figure professionali far loro diverse. In seguito l’International Council of Nursing (ICN) ha descritto l’Infermiere di Pratica Avanzata (APN), come: “L’infermiere abilitato all’esercizio della Professione che ha acquisito conoscenze esperte di base, capacità decisionali complesse e competenze cliniche per lo sviluppo della pratica, le cui caratteristiche dipendono dal contesto e/o dal Paese nel quale esercita”.
 
La definizione comprende varie figure (contesto determinate) le cui competenze sono state ampliate seguendo vie differenti. Una prima via, è stata quella di allargare i tradizionali confini professionali acquisendo limitate attività di norma svolte dai medici (il Nurse Practitioner). Una seconda via, è stata l’espansione del ruolo verso attività clinico-gestionali (case manager, liaison nurse, …). Una terza via, è quella rappresentata dal Clinical Nurse Specialist (CNS), con l’approfondimento di competenze interne ai tradizionali ambiti professionali.
 
Le pratiche professionali avanzate sono state quindi la conseguenza di un combinato di più fattori (socio-economici, politico-culturali, professionali), e hanno dato risposta ad alcuni problemi sanitari propri dei contesti di appartenenza. Anche il fenomeno del task shifting, se governato e concordato, è stato considerato dall’OMS come una necessità (mia lettera a QS del 6-11-2019).
 
Non vi sono oggi evidenze che, dove siano state implementate pratiche infermieristiche avanzate, vi sia stato un danno per i pazienti. Anzi, numerosi studi degli ultimi anni (es: Aiken) hanno evidenziato come vi sia una correlazione fra la composizione dello staff infermieristico (numerosità e competenza) e gli esiti per i pazienti (morbilità e mortalità).
 
Le competenze infermieristiche avanzate, però, non devono essere considerate come la panacea per risolvere problemi professionali che hanno anche cause profonde. Sono solo una delle varie possibilità di sviluppo che deve essere parte di una strategia professionale più ampia e coerente. Anche gli infermieri, al pari di altri professionisti, devono avere possibilità di sviluppo e di carriera (clinica e non solo gestionale). Già ora, come evidenziato da Patricia Benner, fra infermieri “novizi” e infermieri “esperti” vi possono essere profonde differenze in termini di efficacia operativa, senza che questa differente “expertise” sia spesso riconosciuta e valorizzata.
 
L’esistenza di condizioni di lavoro intollerabili vanno combattute con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, ma non è saggio metterle in contrapposizione al possibile sviluppo di pratiche avanzate. Nessun cambiamento professionale avviene simultaneamente in tutti i luoghi di lavoro. Inizia in contesti favorevoli e, se funziona, tende poi a diffondersi anche in altri.
 
Per affrontare le cause profonde di un disagio professionale che molti colleghi avvertono abbiamo probabilmente bisogno di un confronto interno (stati generali della professione?) per rielaborare insieme una nuova “idea di assistenza infermieristica” che ci aiuti a interpretare e a trovare risposte adeguate ai bisogni di salute e di assistenza delle nostre comunità. Avviando poi, attorno a questa idea, iniziative professionali e politiche per poterla “agire” nei luoghi di cura/assistenza e di vita delle persone, con condizioni di lavoro dignitose.
 
Sono certamente molte le cose che noi dovremmo cambiare. Fra queste la formazione. Ritengo infatti difficile formare infermieri più consapevoli della propria professione, se l’egemonia culturale della formazione rimane quella medica (“cure” e non “care”). In futuro mi auguro che ci possano essere delle “Facoltà di Infermieristica”, collegate ma indipendenti dalla facoltà di medicina. Luoghi in cui l’idea di assistenza possa prendere forma, con maggiore forza e consapevolezza di come si riesca a fare oggi, nonostante l’impegno di molti autorevoli colleghi docenti.
 
Facoltà in cui s’insegni ai giovani infermieri ad accompagnare le persone nel loro percorso di salute e malattia nelle varie fasi della loro vita. Fornendo a loro conoscenze, strumenti, metodi professionali e competenze comunicativo-relazionali per poterlo fare. Più consapevoli di sé e della propria professione, per essere anche capaci di lavorare con le altre professionalità senza subalternità e in uno spirito di leale e reciproca collaborazione.
 
In questo 2020, che l’OMS ha dichiarato come anno internazionale dell’infermiere e dell’ostetrica, per noi infermieri ritengo sia ancora indispensabile avere momenti, spazi e pensieri dedicati a capire “cosa sia e cosa non sia assistenza infermieristica”. La stessa domanda che si era posta Florence Nightingale a metà del 1800 e a cui dobbiamo dare oggi una risposta adeguata ai nostri tempi. Riaffermando, condividendo e forse anche riscoprendo, il valore e la dignità di questa professione di aiuto.
 
Dario Valcarenghi
Responsabile Centro Ricerca Infermieristica
EOC – Canton Ticino

 

30 gennaio 2020
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