“Sanità veneta differenziata” nel prossimo decennio
di Vincenzo Cosentini
30 GEN -
Gentile Direttore,
siamo entrati nel nuovo decennio e ci lasciamo dietro anni di problematiche, di soluzioni mancate, di contraddizioni, di criticità, portandocele appresso. Il 2019 si è chiuso con buone azioni su scala nazionale come la possibilità di partecipazione ai concorsi pubblici dei medici specializzandi del IV e V anno che offre una boccata di ossigeno al sistema sanitario; la firma, dopo dieci anni di stallo, del contratto collettivo nazionale con tante novità per i giovani; l’allungamento dei termini per la stabilizzazione dei precari (Legge Madia), anche grazie ad una richiesta dell’Anaao Giovani, al 31/12/2019; sappiamo che tutto ciò non è abbastanza.
Certamente l’aria che si respira a livello nazionale per la questione sanità sembra sia meno pesante, più propositiva, traspare una sensibilità politica nazionale diversa; lo stesso Ministro della Salute, on. Speranza, insediatosi il 5 settembre 2019 nel governo Conte bis, nel recente intervento nel corso dei festeggiamenti dei sessanta anni dell’Anaao del dicembre scorso a Roma, ha sottolineato il fatto che il nostro servizio sanitario nazionale è la prima traduzione vera dell’art. 32 della Costituzione, che c’è bisogno di un nuovo grande patto-paese attorno al tema salute.
Ci ha fatto piacere che il direttore della programmazione sanitaria del Ministero della Salute, Andrea Urbani, abbia posto l’attenzione sulla necessità di dover passare da una logica verticale sui silos rispetto agli ambiti di assistenza (ospedaliera, farmaceutica, ambulatoriale) e sui tetti di spesa (farmaci, dispositivi medici, personale) ad un approccio orizzontale basato sulla valutazione dell’impatto economico complessivo della patologia e la necessità di un cambio di passo generale, un ripensamento in chiave moderna del SSN.
In Veneto esistono tante contraddizioni in sanità, frutto di un’idea sempre più radicata, nella mentalità politica, di “regionalismo differenziato”. Il dibattito più aspro sul regionalismo differenziato si basa sull’ambiguità di fondo che investe il rapporto fra differenziazione ed uguaglianza, tra competizione e cooperazione, in poche parole fra particolarismo e coesione sociale, ambiguità che dovrà essere sciolta dalla politica.
Non è un caso che il dibattito sul regionalismo differenziato viva fasi alterne di grande vivacità e di profondo silenzio. Se ci fermiamo a guardare i problemi della sanità veneta e le proposte della giunta regionale, scopriremo delle soluzioni inadeguate che preoccupano coloro i quali lavorano in questo contesto difficile quale è quello sanitario; chi rappresenta la forza lavoro del presente e del futuro di questa regione ha il diritto di avere risposte concrete, condivise e stabili così come ne ha bisogno la popolazione tutta che riceve le prestazioni sanitarie.
La carenza di personale medico in Veneto viene enfatizzata anche dal confronto con le altre Regioni per la dotazione organica del personale medico: in Toscana, per esempio, per assistere 3 milioni e 700 mila residenti ci sono lo stesso numero di medici del Veneto che ha nel proprio territorio una popolazione di 5 milioni di abitanti. In questo contesto, come suddetto, abbiamo vissuto e stiamo tuttora assistendo a risposte politiche al problema che sono discutibili ed a tratti imbarazzanti; abbiamo assistito a proposte come il “ritorno alle armi” dei pensionati, l’utilizzo di medici non ospedalieri da cooperative private, il reclutamento di medici dall’Estero o di medici militari, l’ingresso in reparti ospedalieri delicatissimi, come i nostri Pronto Soccorso, di medici neolaureati sprovvisti di qualunque tipo di esperienza, gettati nella mischia con rischi evidenti sia per l’operatore/medico che per l’utente/paziente.
Le soluzioni programmatiche che il nostro sindacato propone da anni hanno basi solide, frutto di studi di programmazione e comparazioni; la rimodulazione del numero di borse di specializzazione in funzione di un piano di fabbisogni nel tempo è fondamentale e con questo gli investimenti economici sia da parte delle Regioni che del Governo nell’intento di colmare quel buco nero generazionale che si alimenta ogni anno da coloro i quali si laureano in Medicina e Chirurgia e non riescono ad accedere alle scuole di specializzazione (i cosiddetti “camici grigi”), step indispensabile per poter accedere nei nostri ospedali pubblici.
Il termometro di un malessere lavorativo, di una carenza di opportunità è rappresentato anche dal fenomeno dell’emigrazione: tra i camici bianchi europei che emigrano, il 52% sono italiani, ed il Veneto è capofila con circa 100 colleghi che ogni anno fanno le valigie per lasciare il bel paese. Il mio augurio da medico ospedaliero, sindacalista, potenziale paziente, residente in Veneto ma calabrese di nascita è quello di vedere la politica nazionale e regionale allineata nella prospettiva di ridare linfa vitale al nostro servizio sanitario, affinché l’erogazione delle prestazioni sanitarie possa essere la medesima a Verona come a Reggio Calabria.
Vincenzo Cosentini
Responsabile Anaao Giovani Veneto
30 gennaio 2020
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