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Pubblico e privato. Nelle Marche non è un confronto tra pari

di Claudio Maffei

10 GEN - Gentile Direttore,
alcuni recenti interventi su QS hanno sollevato alcune questioni sul rapporto pubblico-privato che meritano un approccio unitario. Mi riferisco in particolare alla lettera sull’ormai celebre ortopedico Federico che ha scelto di lasciare il pubblico per andare nel privato (argomento assai sentito tanto che la lettera ha ricevuto moltissimi commenti ed è stata per diversi giorni l’articolo più letto) e allo studio di alcuni collegi dell’Anaao Assomed sul (mancato) ruolo del privato nella rete dell’emergenza-urgenza seguita da un intervento del Presidente Nazionale AIOP, Barbara Cittadini, che ha manifestato la disponibilità del privato a fare la propria parte in quella rete a tariffe (e quindi costi) riviste.
 
Vorrei in questa sede concentrarmi sulle regole di sistema che attualmente  consentono al privato ospedaliero di scegliere nicchie di “mercato” su cui attrarre i professionisti pubblici. Il citato studio dei colleghi dell’Anaao Assomed può essere letto anche come contributo al una condizione di par condicio tra il lavoro nelle strutture pubbliche e quelle private. Purtroppo questa soluzione non è applicabile, io credo, nella maggioranza delle Regioni Italiane, sicuramente non nelle Marche. E questo a causa di quel DM 70 che i colleghi dell’Anaao pongono alla base della loro riflessione/proposta.
 
E’ proprio, infatti,  il DM 70 che ha determinato una dispar condicio tra strutture pubbliche e private. Il DM 70 per le strutture ospedaliere pubbliche ha introdotto vincoli rigidi in termini di posti letto, discipline e funzioni. In pratica (ospedali di area disagiata  a parte) per la rete ospedaliera pubblica si sono previsti solo ospedali di dimensioni dai 100 posti letto (o poco meno) in su con attività di Pronto Soccorso e tutte le discipline mediche e chirurgiche necessarie per far fronte al tipo di emergenze-urgenze previste per quel livello di ospedale.
 
Non sono previsti ospedali pubblici a esclusiva attività programmata. Questa scelta del DM aveva come principale finalità la razionalizzazione della rete ospedaliera ai fini dell’eventuale investimento sui servizi territoriali. Come conseguenza di questa scelta il numero degli ospedali pubblici e dei loro posti letto con funzioni per acuti si è ulteriormente ridotto, in alcuni casi determinando problemi in uscita di dimissione tempestiva (il contestuale potenziamento del territorio non c’è stato) e in entrata di servizi di Pronto Soccorso “intasati” con ridotti posti letto di medicina d’urgenza ed una grande difficoltà a “trovare un posto letto libero”.
 
E adesso passiamo al privato. Qui il DM 70 ha fatto di tutto per salvare le piccole strutture private che sono l’ossatura portante della rete ospedaliera privata in molte Regioni italiane, tra cui le “mie” Marche. A queste strutture è stata data la possibilità di operare anche con piccole dimensioni solo in forma programmata e solo sulle linee di produzione di loro interesse. Lo stesso DM 70 che per la rete dell’emergenza-urgenza “vola alto” dando requisiti importanti alle strutture (quasi esclusivamente pubbliche come la lettera dei colleghi ha efficacemente evidenziato) coinvolte, per il privato si è scelta la linea del mantenimento dell’esistente anche di dimensioni “proibite” per le strutture pubbliche (in prima applicazione erano sufficienti 40 posti letto). Bastava aggregarsi in reti d’impresa che arrivassero complessivamente a 80 posti letto per acuti.
 
Primo risultato: le Marche continuano ad avere lo stesso numero di Case di Cura Private degli anni ’80 quando nel frattempo gli ospedali pubblici si sono ridotti ad un terzo. Secondo risultato: le Case di Cura lavorando di fatto quasi esclusivamente in forma programmata hanno una produzione prevalentemente chirurgica in settori in cui il pubblico ha invece grossi problemi di produzione (la ortopedia del collega Federico) con attività concentrate su linee costruite spesso su misura sul collega in arrivo dal pubblico (prima erano i colleghi che andavano in pensione e oggi sono anche quelli giovani con la fase di apprendimento già superata nel loro periodo  “pubblico”).
 
In un contesto così (che non credo sia solo marchigiano) i privati non sono in grado (del resto non lo vogliono) di far parte della rete dell’emergenza-urgenza (come l’AIOP ipotizza si possa fare a budget incrementati) così come  la intende normalmente il pubblico (con ingresso dal pronto soccorso dell’ospedale). Vanno invece studiate altre forme di integrazione col privato nell’emergenza-urgenza e vanno studiate forme organizzative della rete ospedaliera pubblica che possano creare un’area protetta da riservare alle attività programmate.
 
Quello che non va fatto è lasciare che le cose continuino così come stanno avvenendo nelle Marche: con il pubblico che non valorizza i suoi professionisti ed il privato che è messo in grado di scegliere cosa fare, come farlo e con chi farlo. Non è un confronto tra pari dentro ad un sistema che però è unico visto che parliamo di un privato che lavora per nome e per conto del SSN.
 
Claudio Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on

10 gennaio 2020
© Riproduzione riservata

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