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Chi deve informare il paziente? La legge parla chiaro

di Mauro Marin

06 GEN - Gentile Direttore,
la Corte di Cassazione in merito all’onere dell’acquisizione del consenso informato previsto dalla legge n.219/2017,  ha stabilito che è un dovere proprio di chi prescrive ed effettua la prestazione sanitaria acquisire personalmente il consenso informato, sia esso medico  (Cass.sez Civile III° n.29709/2019, n.28985/2019 e ord.n.16892/2019) o sia infermiere (Cass.sez.Pen.V°  n.38914/2015 e n.50497/2018),in rapporto alla responsabilità specifica di propria diretta competenza dell’intervento proposto.
 
Ai sensi dell’art. 27 del codice penale la responsabilità è personale. Quindi non può essere delegato a terzi un compito proprio preliminare alla propria prestazione, come è l’acquisizione del consenso informato per un atto medico. L’art.35 del codice deontologico medico 2014 afferma: L’acquisizione del consenso informato o del dissenso è un atto di specifica ed esclusiva competenza del medico, “non delegabile”.
 
Quindi secondo la Cassazione è compito esclusivo del medico acquisire il valido consenso informato all’atto medico, ed è compito dell’infermiere acquisire il consenso alla prestazione infermieristica come nel caso del cambio catetere vescicale(Cass.sez.Pen.V°  n.38914/2015).
 
L’art. 1, comma 2, della legge n.219/2017, in merito alla relazione di cura e fiducia tra paziente e medico, afferma che nel consenso informato si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, autonomia e responsabilità professionale del medico.
 
Lo stesso comma 2 specifica che “contribuiscono” alla relazione di cura in base alle rispettive competenze gli esercenti una professione sanitaria che compongono un’equipe sanitaria. Pertanto è di chiara evidenza che le informazioni fornite al paziente dall’equipe sanitaria sono solo integrative e non sostitutive di quelle dovute dal medico per l’acquisizione di un valido consenso informato all’atto medico.
 
Il codice civile all’art. 12 (interpretazione della legge) afferma: nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Il medico acquisisce in forma scritta e sottoscritta o “con altre modalità di pari efficacia documentale” il consenso o il dissenso del paziente.
 
In assenza di consenso scritto, vale la prova dell’acquisito consenso orale a mezzo di testimoni (Cass Pen n.38852/2005). Un modulo generico somministrato da terzi anche se sottoscritto di per sé non costituisce prova di un valido consenso acquisito, ma è necessario che sia integrato da spiegazioni dettagliate in un colloquio diretto col medico (Cass. Sez.Civ. III° n.23329/2019, n.19220/2013, n.24791/2008; Tribunale Pordenone n.852/2010).
 
Il Consenso informato è un atto precontrattuale in cui si forma e si orienta la volontà dell’assistito e in cui le parti sono tenute ad operare in buona fede (art. 1377 CC) nel rispetto dei diritti tutelati dagli artt. 2, 13, 32 della Costituzione (Corte Cost. n.438/08).
 
L’acquisizione del consenso esprime il diritto all’autodeterminazione dell’utente e pertanto deve essere (Cass sez. Civ III°  n. 20894/2012):
- Personale (per maggiorenne capace di intendere e di volere)
- Specifico (per ogni singolo trattamento o accertamento diagnostico)
- Esplicito ed effettivo (non è ammesso il consenso presunto o tacito)
- Attuale (presente al momento dell’inizio dell’intervento/trattamento)
- Consapevole (basato su informazioni esaurienti e comprensibili del medico in rapporto alla capacità di comprensione e livello di cultura dell’assistito).
 
L’intervento sanitario in assenza di un valido consenso comporta di per sé una responsabilità contrattuale del sanitario e della struttura sanitaria per violazione dell’obbligo informativo di cui alla legge n.219/2017, anche se la prestazione sanitaria erogata è stata tecnicamente corretta (Cass sez.Civ III°  n.20984/2012).
 
In assenza di un valido consenso dell’assistito o suo rappresentante legale, salvo i casi previsti espressamente per legge, il sanitario non ha alcun obbligo o responsabilità di cura (art.1, comma 6, legge n.219/2017), né alcun personale mandato di rappresentanza (artt. 1703 e 1704 CC) da parte dell’assistito legittimante l’esecuzione di interventi di cura. Inoltre, il trattamento contro la volontà dell’assistito configura una responsabilità penale a carico del sanitario (Cass. sez. Pen. V°  n.38914/2015  e n.50497/2018).
 
L’art.34 del D.Lgs. n.150/2009 afferma che è compito e responsabilità del datore di lavoro definire l’organizzazione aziendale del lavoro. Essa va definita nel rispetto delle buone pratiche e linee guida ai sensi dell’art.5 della legge n.24/2017 e della complessa normativa, tenendo conto che i regolamenti non possono contenere norme contrarie a disposizioni di legge (codice civile, capo I delle fonti del diritto, art.4, comma 2). Il comma 9 dell’art. 1 della legge 219/2017 afferma che ogni struttura sanitaria debba garantire con le proprie modalità organizzative gli adempimenti previsti in merito all’acquisizione di un valido consenso informato.
 
Pertanto è interesse pubblico che l’organizzazione dell’assistenza sia fondata su regole chiare derivanti da fonti autorevoli istituzionali, piuttosto che da opinioni autoreferenziali di parte che, quando antepongono interessi corporativi a diritti e sicurezza di cura dei cittadini, rischiano di generare conflitti evitabili invece di sinergie utili a garantire collaborazione costruttiva nel lavoro multidisciplinare e un buon clima aziendale.
 
Lo sviluppo di un pensiero critico è dunque necessario per affrontare in modo razionale le questioni nei rispetto dei ruoli, senza  alimentare pregiudizi ignorando prove e fonti autorevoli non conformi alle proprie verità o tesi. Ostacolo alla conoscenza e all’integrazione non è l’ignoranza, ma l’illusione di sapere.
 
Mauro Marin
Direttore Distretto Sanitario, Azienda Sanitaria Friuli Occidentale, Pordenone

06 gennaio 2020
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