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Contro la carenza di medici, si renda la professione attrattiva

di Ludovico Docimo

14 GIU - Gentile Direttore,
mi associo alle giuste preoccupazioni di chi opportunamente su queste colonne ha focalizzato le potenziali e pericolose ripercussioni del “Decreto Calabria”. Da clinico sottolineo i rischi di curare il sintomo e non le cause di una malattia; sarebbe come dare un antidolorifico in caso di peritonite invece di intervenire per rimuoverne il fattore scatenante.

Se oggi mancano oltre 1.300 Chirurghi nel nostro Paese, questa è la conseguenza di errori del passato, senz’altro non imputabili alle Università, bensì al mancato turnover, al numero limitato dei posti disponibili e soprattutto alla crisi vocazionale, per la quale occorre una approfondita riflessione sulle reali cause e sui possibili rimedi; a titolo esemplificativo, infatti, lo scorso anno in Italia, su 6.700 iscritti a tutte le scuole di specializzazione di area medica, soltanto 40 hanno indicato come prima scelta Chirurgia generale.

Il motivo di questo drammatico allontanamento rispetto a tale professione, che fino a qualche decennio fa era al contrario molto ambita, con un numero di candidati 10 volte maggiore rispetto ai posti disponibili, ritengo sia da individuare – soprattutto, ma non soltanto, nei Pronto Soccorso - nei maggiori ritmi lavorativi rispetto ad altre discipline e alle più gravose responsabilità, per non parlare delle crescenti aggressioni, per le quali poco o nulla le istituzioni hanno finora realizzato; il medico che lavora in ospedale non è ancora considerato un Pubblico ufficiale. A questi problemi si aggiungono le sempre più frequenti azioni di rivalsa, che nella maggior parte dei casi si dimostrano prive di alcun fondamento ed intentate ai soli fini speculativi, che fanno aumentare notevolmente i costi delle coperture assicurative, che a loro volta superano gli stessi guadagni dei giovani specialisti, quando  trovano collocazione lavorativa nei pronto soccorso e nelle strutture private, al punto da indurli a preferire l’emigrazione verso altri paesi europei, contribuendo alla preoccupante fuga di cervelli dei nostri giovani.

Al di là della scarsa remunerazione rispetto al resto dell’Europa occidentale, la scelta di diventare Chirurghi nella maggior parte dei casi rappresenta un ripiego, talvolta anche temporaneo, poiché spesso negli anni successivi  - prima di conseguire il titolo - , dopo ripetuti tentativi, lo stesso specializzando in Chirurgia riesce finalmente ad accedere alla scuola desiderata, perdendo uno specialista di domani e precludendo a chi avrebbe voluto fare il Chirurgo di accedere al suo posto attraverso scorrimenti di graduatoria, non previsti dalle normative vigenti.

A questo problema si aggiunge un mancato sostegno dei mezzi di informazione, che dovrebbero stimolare il senso di emulazione con una visione in positivo, laddove invece spesso vengono enfatizzati potenziali errori, dando risalto a giudizi di parte, che poi si dimostrano il più delle volte errati, senza dare la stessa enfasi alle assoluzioni e alla buona sanità che viene quotidianamente offerta ai cittadini.

Si confonde il numero degli specialisti disponibili e le carenze di organico con la qualità della formazione erogata finora dalle Università, già organizzata con ben definiti percorsi negli ospedali della rete formativa.

Oggi, come per il passato, i nostri Specialisti  - dopo aver completato il loro percorso -  vengono apprezzati ovunque riescono a trovare collocazione lavorativa, confermando la grande tradizione formativa del nostro Paese, in quanto tutti gli specialisti oggi operanti in Italia (molti dei quali con prestigiosi ruoli apicali negli Ospedali) sono stati formati nelle attuali Scuole di Specializzazione e sempre più frequentemente realizzano il desiderio di tornare a lavorare ed insegnare nelle Università.

Un Governo attento e lungimirante ha quindi il dovere di analizzare le cause delle criticità che attraversa il Paese e di prevenirne le condizioni di rischio, evitando insufficienti soluzioni tampone che potrebbero complicare un quadro già grave.

In conclusione, al di là della possibile incostituzionalità del Decreto Calabria, affidare la responsabilità di Dirigenza medica a giovani specializzandi ancora in formazione, li esporrebbe a traumatiche ripercussioni sulla loro serenità, oltre ad incidere evidentemente sulla sicurezza dei pazienti; sarebbe come affidare un pulmino scolastico ad un giovane autista più o meno prossimo all’esame di patente. Occorre, invece, realizzare una programma strategico, che attragga i giovani alla meravigliosa professione della Chirurgia, sostenendone il fascino e la dignità della scelta, ma soprattutto tutelandone il ruolo, sotto il profilo umano, giuridico e patrimoniale.
 
Ludovico Docimo
Professore Ordinario di Chirurgia Generale Università della Campania “Luigi Vanvitelli”


14 giugno 2019
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