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Infermieri. Il nuovo Codice è carente su ruoli gestionali e direzionali

di Andrea Bottega (Nursind)

25 APR - Gentile Direttore,
dieci anni di distanza dal codice della Federazione Ipasvi la Fnopi ha emanato il nuovo codice deontologico. Come sempre vi sono parti condivisibili e non condivisibili. In primo luogo positivamente non possiamo non sottolineare la scomparsa, dall’attuale articolato, del famigerato articolo 49 del precedente codice Ipasvi. Un articolo che prevedeva un “autodemansionamento” dell’infermiere da parte dello stesso codice deontologico e che lasciava la nostra figura professionale in balia dell’organizzazione che poteva “compensare le carenze” e le inefficienze proprie attraverso la norma deontologica.
 
La professione infermieristica era l’unica professione ad avere un articolo di tal fatta, del tutto sconosciuto negli altri codici delle professioni sanitarie.
 
Una deontologia al servizio delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, dei dirigenti aziendali, e non del professionista e della persona assistita.
 
Come sindacato abbiamo da sempre avversato aspramente quell’articolo (siamo ricorsi anche in cassazione sulla validità giuslavoristica di tale articolo) che, a nostro parere, era lesivo della dignità professionale e, quindi, in contrasto con i principi del codice. Ora che questo articolo-vergogna è stato cancellato non possiamo che essere soddisfatti.
 
Della battaglia condotta da Nursind, rimane quindi il giudizio negativo verso chi lo ha proposto, sostenuto e difeso. Speriamo che quella stagione sia definitivamente cancellata (ma è bene non dimenticarla!). Positivamente giudichiamo anche l’aver tolto il riferimento “all’ideale di servizio” presente nella bozza del 2016 (tentativo di far rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta).
 
Tralasciando le numerose perplessità sulla modalità di pubblicazione e approvazione del codice riteniamo di non esprimere un giudizio positivo sul testo definitivo. Non possiamo che esprimere la nostra delusione per la timidezza in cui è stata affrontata la questione relativa ai rapporti con la dirigenza, con l’organizzazione e l’identificazione del ruolo dell’infermiere.
 
Non è un punto secondario in quanto il grave de-finanziamento che pesa sulla sanità spesso costringe l’organizzazione stessa a scelte che riteniamo anti-deontologiche: ecco allora che assistiamo alle gravi violazioni di turni coperti con personale insufficiente, costretto a saltare i riposi di legge con la conseguenza di prestare servizio in condizioni di inidoneità psico-fisica temporanea esponendo sé stesso e i propri assistiti a gravi rischi.
 
Assistiamo, soprattutto in alcune zone del paese, ancora a disposizioni demansionanti. Si è spostata l’attenzione: da un articolo che costringeva l’infermiere a farsi parte proattiva nel compensare le carenze della struttura a un timidissimo articolo sulla dirigenza che si limita a indicare la “valorizzazione della professione”.
 
E’ ben chiaro che questo codice deontologico è prescrittivo per coloro che, all’interno della professione, svolgono attività clinico-assistenziali (la massa degli infermieri), ma nulla o quasi nulla per chi detiene le leve dell’organizzazione e della gestione delle risorse. Un codice, dunque, squilibrato che riflette una piccola parte dominante la professione.
 
Inoltre, siamo rimasti decisamente contrariati dalla scomparsa del punto 33 della “prima stesura” del novembre 2016 del Codice. Una bozza irricevibile per qualità e disegno politico, ma che conteneva un punto che condividevamo e che riportiamo: “L'infermiere, qualora l'organizzazione chiedesse o pianificasse attività assistenziali, gestionali o formative in contrasto con i propri principi e valori e/o con le norme della professione, si attiva per proporre soluzioni alternative e se necessario si avvale della clausola di coscienza”.
 
Una norma che permetteva un argine alle scelte negative e dannose che l’organizzazione poteva mettere in atto. Il richiamo alla indefinita e ambigua “clausola di coscienza” (clausola pericolosa se non delimitata a specifici casi con possibili derive verso un soggettivismo acritico che in un codice deontologico va usata con molta cautela) costituiva comunque uno strumento da accompagnarsi a un non mai, neanche pensato, articolo nei confronti del comportamento che la dirigenza infermieristica doveva tenere.
 
Ribadiamo la nostra impressione di un codice che si applica agli infermieri clinici e non applicabile a coloro che svolgono ruoli gestionali e dirigenziali.
 
Peraltro la clausola di coscienza è rimasta nell’articolo 6. L’articolo parla di “libertà di coscienza” ma riesuma la “clausola di coscienza” per difendere l’infermiere dal paziente! Ci sembra ben strano che tutte le associazioni dei malati che si dice hanno contribuito a questo codice – ma lo hanno letto? – non abbiano avuto da eccepire sul punto.
 
Una norma autoreferenziale e che pone l’infermiere al centro che può arrivare a negare le cure al paziente (anche se non è ben chiaro a cosa si riferisca esattamente: una norma nebulosa), mentre la stessa clausola non può essere eccepita per le frequenti violazioni che l’infermiere si trova a subire quotidianamente nella propria attività quotidiana (queste si a danno del paziente: le associazioni sopra richiamate non hanno nulla da dire al proposito?).
 
Dopo l’articolo 53 del Codice troviamo una norma finale dove si avverte che il Codice sarà oggetto di costante monitoraggio al “fine di garantirne l’eventuale aggiornamento”.
 
Non possiamo che augurarci una sua applicazione senza attendere altri dieci anni. Se alla Fnopi sta a cuore la “massa degli infermieri”, si introduca la clausola di coscienza per i rapporti con l’organizzazione con il duplice fine di garantire quei colleghi che nella gestione sono costretti a prendere scelte anti-deontologiche (e che potranno avere dalla loro il codice e rifiutarsi di prenderle quelle decisioni) e quei colleghi clinici che quelle scelte le subiscono come destinatari finali.
 
Andrea Bottega
Segretario nazionale Nursind

25 aprile 2019
© Riproduzione riservata

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