Infermieri. E se adottassimo un unico Codice internazionale?
di Ivan Favarin
21 APR -
Gentile Direttore,
il 13 aprile una collega mi informava che era appena stata approvata l’ultima edizione del
codice deontologico degli infermieri.Leggendola, mi sembrava di tener sottomano una check-list con la quale mi confrontavo passo passo. Ed ero lieto, sollevato nel sentirmi “assolto” ad ogni passaggio. Mi erano estranei alcuni articoli perché non svolgo perizie (art.48) né ricopro incarichi istituzionali in politica (art.52).
Ma per il resto, era come per un credente rileggere il decalogo e confermare di non aver peccato. Già, perché l’etica è molto vicina alla religione, benché si professi laica.
Il sentirmi “assolto”, adempiente ai doveri del codice etico della mia professione, se da un lato mi ha messo l’animo in pace, dall’altro non ha aggiunto né tolto nulla al mio agire quotidiano.
Io sono affetto da una visione pragmatica della vita, materialistica che dir si voglia, consolidata anche dai miei passati studi ingegneristici. Per questo non sono un filosofo, e non mi vergogno di trovare nel fare, nella tecnica un parametro oggettivo del mio agire professionale.
Tuttavia qualcosa di filosofia l’ho letto. Ad esempio ricordo l’etimo di “eresia” come “scelta” (αἵρεσις). Qualcuno definirebbe la critica proposta dal
collegio di Pisa come “eretica” in tal senso. Ma la pure dettagliata, pregevole disamina pisana è ormai acqua passata. Qualcosa da là è sinteticamente confluito nel nuovo codice.
Anche la Controriforma (che fu un atto unilaterale e non certo ecumenico - i tedeschi non erano così sprovveduti da recarsi a Trento a farsi scannare) mutuò alcuni elementi dalla riforma. Ad esempio i banchi in chiesa per sedersi (so che sembra sarcastico).
Ora, non dico che l’OPI sia la Chiesa Romana e Pisa sia Lutero, ma è uno schema inveterato, in Italia e altrove. H.Marcuse sosteneva che la società (capitalistica) riassorbe e annichilisce le istanze dei dissidenti. Ma le cause di dissidio restano, e la riprova di ciò è che il
sociologo Cavicchi e alcuni colleghi,
professionisti sul campo abbiamo immediatamente dissentito sul nuovo codice, sentendo tradite le istanze innovatrici.
Io vorrei tanto che tutte queste discussioni sulla deontologia codificata trovassero una fine, o meglio uno sbocco utile. Ma come? Ho in mente due strade.
Prima ipotesi: superare l’idea stessa di codice deontologico (almeno in forma esplicita).
L’innovazione nella pratica professionale non può venire dall’etica, che al massimo ne prende atto. Temo che si pretenda troppo da un codice deontologico. L’innovazione autentica viene dall’applicazione di leggi e decreti dello stato che delineano e autorizzano nuovi percorsi.
Wittgenstein nel
Tractatus Logico-Philosophicus rimarcava che “Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v'è
in esso alcun valore - né, se vi fosse, avrebbe un valore. […] Né, quindi, vi possono essere proposizioni dell'etica.Le proposizioni non possono esprimere nulla ch'è più alto. È chiaro che l'etica non può formularsi.”
Secondo un’immagine cara al logico austriaco, l’etica sembra un’altra scala da utilizzare e poi gettare.
Kant suggeriva che la legge morale devo averla dentro di me; estremizzando, si spererebbe che il codice deontologico non avesse più necessità di essere scritto.
Seconda ipotesi: la matrice sintetica internazionale.
Dal canto mio, 2 anni or sono
avevo scritto che sarebbe opportuno avere un codice unico internazionale di base che già esiste e riecheggia moltissimi temi presenti in vari codici. Io stesso ho passato in rassegna il codice etico degli infermieri Canadese, Britannico e Francese, e nel codice internazionale ICN ritrovo una sintesi, un comune denominatore tutto sommato valido.
Una matrice vera e propria che si è dipanata localmente in decine di articoli quale si è deciso di aggiungere elementi che ampliano il discorso, talora con particolarità locali. Ma personalmente ritengo che la professione infermieristica sia una e che meriti un codice internazionale.
Come disse
Bart Simpson in un episodio sulle guerre di religione “sono più le cose che ci accomunano di quelle che ci dividono”. E se lo dice anche Bart Simpson…
Ivan Favarin
Infermiere
21 aprile 2019
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lettere al direttore