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La figlia medica accompagnata dal papà, per garantirle sicurezza in Continuità assistenziale

di Tommasa Maio (Fimmg CA)

19 MAR - Gentile direttore,
il tema sicurezza per gli operatori sanitari continua a rappresentare un problema di scottante attualità che, purtroppo, visto il progressivo aumento degli atti di violenza, non ha trovato finora risposte risolutive. In questo scenario i medici di Continuità Assistenziale da decenni purtroppo sono vittime inascoltate. Lavoriamo in solitudine, senza alcun collegamento informativo con i medici di famiglia, nella superficiale indifferenza dei soggetti istituzionali che avrebbero il dovere di proteggerci. Affrontiamo notte dopo notte con scarsi strumenti la necessità di dare risposta ai bisogni assistenziali di una società sempre più povera economicamente e culturalmente, esposti alla violenza di soggetti, quasi sempre a noi ignoti, che si sentono protetti dall’anonimato e dalla mancata certezza di una pena.
 
La questione sicurezza non è per noi un problema occasionale o fortuito: solo dall’ inizio del 2019 sono stati denunciati 10 casi di gravi aggressioni, minacce e percosse a carico di medici di Continuità Assistenziale, con un particolare coinvolgimento delle colleghe donne.
Ma quanti saranno stati in realtà gli episodi non denunciati dai medici, donne ma anche uomini, per paura di ritorsioni, avendo purtroppo la certezza per precedenti esperienze - si, perché ognuno di noi più di una volta ha subito questa esperienza- che nessun intervento, in grado di prevenire in futuro il ripetersi di simili accadimenti, sarebbe stato attuato?
 
Da 15 anni ormai, individuato il problema, lavoriamo su più direttrici per tutelare l’incolumità dei medici di guardia medica: dalle denunce, prima isolate poi via via più frequenti, presso le singole Aziende, alle indagini sul territorio nazionale per monitorare la situazione, dalla creazione del Dossier Violenza: Storie di ordinaria follia, costantemente implementato da 6 anni, alla proposta di una F.A.D. sulla Sicurezza, per aumentare il grado di consapevolezza di possibili strumenti di prevenzione, disponibile gratuitamente on-line per tutti i colleghi; dai progetti con associazioni quali la C.R.I, all’interlocuzione con tutti gli attori e Istituzioni dal Ministro della Salute alla Fnomceo, dalle associazioni professionali FIASO, CARD, FEDERSANITA’ ANCI, a quelle dei cittadini.
 
Siamo presenti sui tavoli di contrattazione regionali per richiedere strumenti che cambino le nostre possibilità di conoscenza ed approccio alle richieste assistenziali che ci vengono proposte.
Alcune Aziende hanno cominciato ad affrontare il problema. Sedi messe in sicurezza, accompagnatori, dispositivi di allarme.
 
Ma questo non basta.
I medici di CA non hanno accesso a quei dati sanitari dei pazienti che si rivolgono al servizio che abbasserebbero il grado di rischio permettendo di identificare precocemente soggetti critici. Dati che i medici di famiglia potrebbero facilmente mettere a nostra disposizione se ci fosse la sensibilità politica delle tante Regioni che continuano a non voler investire sulla informatizzazione e la connessione informativa tra le due facce della medicina generale.
 
Servono ancora interventi strutturali per la messa in sicurezza di sedi o, meglio ancora, servirebbe permettere ai medici di CA di svolgere l’attività ambulatoriale in veri studi di medicina generale dove i pazienti li identificherebbero meglio come espressione dello stesso rapporto fiduciario che li lega nelle ore del giorno al proprio medico di famiglia; serve formare i medici a prevenire e a reagire con strumenti culturali adeguati; serve formare i manager della sanità ad affrontare il problema, cominciando col mettere in atto le basilari attività di risk management che ogni aggressione, essendo un evento sentinella, dovrebbe automaticamente evocare e che vengono, invece, puntualmente ignorate.
 
Ma più di ogni altra cosa manca ancora il riconoscimento legislativo per i Medici, nell’esercizio della loro funzione, dello Status di Pubblico Ufficiale che a seguito di aggressione garantirebbe la procedura automatica di querela d’ufficio. Atto questo ancor più rilevante, se si considera che circa il 70% dei medici è solito non denunciare le violenze ricevute, determinando per altro una sottostima del reale problema.
 
In questa richiesta non vi è il tentativo o la volontà di ricercare gradi e uniformi, ma la richiesta di aiuto e protezione per poter svolgere al meglio la nostra professione di medico nella tutela della salute dei cittadini.
 
L’auspicio quindi è che lo Stato diventi il garante dell’alleanza medico-paziente senza dimenticarsi di salvaguardare, parafrasando le parole del Segretario Nazionale al 75°Congresso FIMMG, la sicurezza dei propri “figli”. Questo compito purtroppo viene ad oggi delegato ai molti padri di donne medico di Continuità Assistenziale, costretti ad accompagnare durante il lavoro le colleghe per preservare la loro incolumità.
 
Vogliamo ringraziarli oggi, in occasione della loro festa, insieme a tutti quelli che lavorano accanto a noi per proteggerci, augurandoci che presto questo non rappresenti più la quotidianità.
Che i padri facciano i padri e lo Stato faccia lo Stato. Anche per noi.
 
Tommasa Maio
Segretario Nazionale FIMMG Continuità Assistenziale

19 marzo 2019
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