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Professioni sanitarie. Sono più i motivi di preoccupazione che quelli di compiacimento

di Calogero Spada

01 MAR - Gentile direttore,
gli organi di vertice delle organizzazioni nazionali sanitarie in questi giorni hanno organizzato e partecipato (senza darne preventiva notizia alla base) ad eventi celebrativi il 20° anniversario della legge 42/99, che pure non si può che accogliere positivamente; al contempo va detto che non bisogna illudersi mai che i problemi, o il peggio di essi, siano alle nostre spalle.

Partendo dal “manifesto dell’alleanza”: se «è necessaria una riforma che possa restituire fiducia agli operatori sanitari, riconoscendo loro maggiore responsabilità nei processi di gestione e maggiore autonomia nei processi di cura», vale la pena interrogarsi sui motivi della propria corresponsabilità (Beux - Mangiacavalli) che vede, solo per fare un esempio più recente, nel mancato concreto contrasto al decreto 10.08.2018 (RMN), un segno distintivo di mancata azione politica, malgrado la condivisione e riconoscimento in un «insieme di valori comuni presenti nel documento».

Proseguendo a spanne, incontriamo l’errore (mai corretto) nella successiva legge 251/00, ove proprio i concetti di autonomia non sono espressi unitariamente per le quattro “classi”, ma destinati solo alla prima di esse: ossia al solo art. 1, destinando alle altre tre definizioni solo parziali, o, come affermato da S. Proia: «concetti simili vengono espressi nei successivi tre articoli per le altre aree professionali », ciò nonostante il “mandato” ricordato dallo stesso: «il profilo professionale deve essere definito nella maniera più precisa possibile, per evitare che i profili siano determinati in forma generica con difformi interpretazioni della norma nelle singole aree geografiche o realtà lavorative».

Sempre citando Proia, la mancata «definizione di adattamento dei profili professionali alle particolari esigenze organizzative dell’amministrazione e definire i corrispondenti trattamenti economici».

Non possiamo non citare anche la stentata concretizzazione di mandati normativi successivi, quali il professionista specialista (molto contestato), esperto (o “senior”), che vede ancora aspro lo scontro con i medici, come nel caso dello specialista Sonographer, che non si è ancora capito se debba, affiancare o affrancare il medico cardiologo, o come nella assai controversa vicenda dei TSRM che vede, nelle alambiccose tortuosità normative del d. lgs. 187/00 e linee guida 2015, un esercizio di diffusa autarchia medica, visto che proprio i medici non radiologi disdegnano anche l’idea che un proprio giudizio sia possibile oggetto di rivalutazione da un loro collega, che a loro giudizio non dispone di una «adeguata preparazione clinica»; il tutto considerando che in altri stati d’Europa (UK) con molti meno medici in circolazione, simili tematiche semplicemente non esistano, per la effettiva, piena e mai discussa autonomia professionale dei technologists – è già partito il dibattito sulla refertazione da parte degli stessi.

Altri conflitti possono essere identificati nell’esercizio della professione di TSLB vs biologi, biotecnologi e laboratoristi; ma certamente è la polemica innescata dal nuovo comma 4-bis art. 537 della nuova legge di bilancio, a tenere alto il tono polemico sulle problematicità di una formazione che “sarebbe” essenziale in detto confronto.

E cosa dire, proprio all’indomani della emanazione della legge 11 gennaio 2018, n. 3 , ove, stanti competenze differenziate , che conferiscono ai laureati magistrali delle professioni sanitarie nuove opportunità, confermate in contrattualità in art. 16 c. 5, non sono state previste le classi A e B all’interno del medesimo ordine professionale, evitando il prolificare della inutile burocrazia, rappresentata dalla nascita di altre associazioni professionali o di sindacato?

Altro aspetto è l’enorme difficoltà che i laureati magistrali incontrano nei (pochi) concorsi, che propongono argomenti mai compresi all’interno dei programmi di formazione impartiti ai corsi di laurea magistrale: nessun testo o direzione, ma temi riguardanti “tout court” la sanità: uno scenario perfetto per consentire troppo agevolmente, insieme alla esiguità dei posti a disposizione, il successo del deprecabile fenomeno dei “concorsi pilotati”…
 
Queste fattispecie costituiscono un pur minimale, ma emblematico quanto eloquente esempio di come il percorso normativo e sociologico della sanità italiana si muova ad un incoerente passo di gambero; e di come, pure all’interno di doverose celebrazioni ed eventi, siano maggiori e consistenti i motivi di preoccupazione rispetto a quelli di gaudio e compiacimento.

Non si intendono quindi i motivi di soddisfazione dei vari dirigenti delle organizzazioni nazionali professionali: non si tratta della contestazione di “modelli” vecchi e nuovi, ma della ricerca di una coerenza di funzione al momento languente o inesistente: i dirigenti nazionali delle rappresentanze professionali devono anzitutto dimostrare di conoscere un sistema prima di proporre soluzioni, prima di assegnare targhe onorifiche pagate con risorse non proprie, e prima di parlare sui social di «obiettivi raggiunti»; perché altrimenti, inutilmente cercando di mandare nel dimenticatoio episodi certamente fallimentari (polizza assicurativa “obbligatoria”), si cade in facilissime ellissi auto celebrative, esclusivamente funzionali all’esclusivo infinitivo esercizio fantapolitico, tradendo sostanzialmente il pur tanto richiamato esercizio rappresentativo, ormai finalizzato al bieco perpetuare di presenze personalistiche nel panorama nazionale, già inflazionato da personalità ormai definitivamente avulse dall’intendimento, oltre che dall’esercizio professionale.
 
Dr. Calogero Spada
Dottore Magistrale
Abilitato Direzione e Management AA SS
Abilitato alle Funzioni Direttive
Specialista TSRM in Neuroradiologia 


01 marzo 2019
© Riproduzione riservata

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