L’autonomia differenziata è un “bug” costituzionale e la sanità sarà la prima vittima
di Nicola Preiti
28 FEB -
Gentile direttore,
è un Bug costituzionale, l’articolo 116 della Costituzione. E la può mandare in crash. Come succede in informatica, dove si chiude improvvisamente il programma o il sistema operativo stesso. La ricerca dei bug sono il pane quotidiano degli hacker che così cercano di introdurre dei malware, programmi che modificano il funzionamento del sistema in modo da renderlo inefficace e produrre danni.
Ma quando ci si accorge di un Bug, chi è proprietario del sistema corre ai ripari, e lo cancella. Aggiornando il sistema, per evitare che possa avere dei punti deboli. Non è andata così con l’articolo 116 della Costituzione.
Il Bug non lo avevano messo i padri costituenti, ma è uno degli effetti nefasti della riforma del Titolo V del 2001.
E si era cercato di modificarlo insieme ad un rinnovato assetto istituzionale, con la sfortunata (per l’Italia) riforma costituzionale bocciata dal referendum del 2016. Questa, a parte il complessivo diverso assetto istituzionale, avrebbe comunque messo al riparo dalle richieste di autonomia regionale materie fondamentali come la sanità, le professioni, la sicurezza sul lavoro, ecc.
Il Bug è rimasto, e gli “hacker” di alcune regioni, con l’aiuto di una parte (per ora) del governo, stanno cercando di utilizzarlo introducendo il malware della proposta di Regionalismo Differenziato.
Si sostanzia di fatto una profonda riforma costituzionale percorrendo la via (legittima) di una legge ordinaria rinforzata al posto di una legge costituzionale (art.138 Cost.), che dal punto di vista della portata delle richieste, e delle ripercussioni sull’assetto istituzionale e sulla vita dei cittadini, sarebbe doverosa.
Il bug, pur essendo presente nella Costituzione come dicevamo, può produrre di fatto effetti che minano la Costituzione stessa nelle sue parti fondamentali: si pensi al contrasto degli effetti di queste riforme rispetto agli Art.2 e 3 dei principi fondamentali, nonché dell’Art. 32 della Costituzione. Quando si subordinano i principi fondamentali è evidente che tutto il sistema si avvia al crash.
L’introduzione del malware è soft per non impensierire il sistema, i cittadini. Si sminuisce la portata, si rassicura sul mantenimento dell’unità nazionale, sulla garanzia dei compensi statali.
Che poi come fa uno Stato centrare a garantire i compensi ed a riequilibrare se i poteri e le risorse (art. 14 L.42/09) non li ha più? Aumenta il debito pubblico? A carico di chi?
E ancora, lo Stato centrale non è riuscito ad evitare l’ aggravarsi delle diseguaglianze tra i cittadini delle diverse regioni nella fruizione dei diritti già con il federalismo definito dal Titolo V del 2001. Come potrà farlo se si consolida la disgregazione con le autonomie differenziate?
E qui sono in gioco diritti fondamentali, in particolare la tutela della salute: quel diritto che definisce il profilo dello sviluppo civile di un Paese.
E’ la Repubblica che garantisce la tutela della salute e l’uguaglianza del diritto del cittadino nel territorio nazionale (bisogni), indipendentemente dal PIL di quel territorio, con la fiscalità generale.
Con questo tipo di regionalismo lo Stato non avrebbe più in sostanza né ruolo, né risorse, né possibilità giuridica di assolvere a questo suo compito.
Il risultato in sanità sarebbe diversa capacità di spesa e quindi di offerta, visto che si attingerebbe ad un diverso gettito fiscale e ad un diverso finanziamento, con fondi sanitari integrativi; diversa compartecipazione (ticket); differenti vincoli di spesa. Sarebbe diversa l’organizzazione dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali, avremmo diversi percorsi formativi, diversi titoli professionali, e contratti differenziati. Sarebbero diversi perfino i farmaci, nella differente valutazione delle equivalenze.
Regioni più ricche potrebbero permettersi per i loro cittadini farmaci più costosi ed efficaci, strumentazioni più evolute, servizi più completi. Regioni più povere, si dovrebbero accontentare della “minima sindacale” dei livelli essenziali, quelli che tra l’altro, nemmeno oggi sono garantiti.
Insomma si tratterebbe del definitivo superamento del SSN universale, equo e solidale, e la fine del principio di uguaglianza dei cittadini.
Ecco cosa starebbe succedendo con le proposte di Veneto, Emilia Romagna, Lombardia. E con quelle che incombono, a ruota, di Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria e Marche. E per ultima, forse provocatoriamente, quella della Campania.
Si tratta della stragrande maggioranza della regioni, con proposte tutte diverse fra loro, che in aggiunta a quelle già a statuto speciale, renderebbero intanto insignificante la permanenza delle 5/6 rimaste a regime ordinario. E contemporaneamente sarebbe compromesso il già istituzionalmente debole coordinamento delle regioni fra loro e con lo Stato, oggi assolto dalla conferenza Stato-Regioni, con ulteriore allentamento dei legami e il delinearsi di piccoli “Principati” autonomi e diversi.
Per fare questo allora come minimo vi sarebbe la necessità di una vera riforma costituzionale, con i suoi percorsi dai garanzia, per ridefinire nuovi assetti istituzionali, coerenti con i principi costituzionali. E con livelli di autonomia omogenei e compatibili con il mantenimento dell’uguaglianza dei diritti dei cittadini in qualunque territorio del paese vivano.
Nicola Preiti
Medico Neurologo
Perugia
28 febbraio 2019
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