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Le scorciatoie illegittime per reclutare medici nel Ssn

di Mirko Schipilliti (Anaao Assomed)

07 FEB - Gentile Direttore,
quando la coperta è sempre troppo corta le misure per ottemperare a esigenze organizzative rischiano di incorrere in soluzioni estreme che rispondono solo parzialmente alle reali necessità e all’effettiva qualità dei servizi da garantire. È il caso delle dilaganti soluzioni “tampone” messe in atto negli ospedali e nelle aziende sanitarie per fronteggiare – barando – la cronica e ingravescente carenza di medici specialisti, soprattutto per il Pronto Soccorso, reclutando medici con contratti atipici, ormai denominati “medici in affitto”. Specchietti per le allodole, soprattutto, piuttosto che reali manovre risolutive, col rischio inevitabile di ricadere in problemi giuridici con responsabilità su più livelli, ma soprattutto senza offrire garanzie per un’effettiva copertura del rischio clinico in una struttura pubblica, anzi aggravandolo.
 
Il Dicastero della Salute annuncia controlli almeno in Trentino-Alto Adige in base a quanto riportato dal quotidiano «Alto Adige» il 26 gennaio scorso, ma Anaao Assomed ha già denunciato in più occasioni tali illegittimità, sia alle Direzioni generali delle Aziende ed Enti del SSN che sulla stampa.
 
Sono quattro gli artifizi principali di cui continuano ad abusare ospedali e aziende sanitarie per reclutare medici aggirando i vincoli normativi:
1. Cooperative di servizi.L’esempio più eclatante è il ricorre a medici – sia specialisti che non specialisti – offerti da cooperative di servizi. Con sentenza 1571/2018 il Consiglio di Stato ha tuttavia dichiarato illegittimi i contratti che hanno in realtà “ad oggetto una somministrazione di personale - attività, quest’ultima, ex lege riservata alle Agenzie per il Lavoro iscritte nell’apposito Albo presso il ministero del Lavoro”. Per di più, come hanno evidenziato i legali di Anaao, “la Corte di Cassazione è intervenuta a dettagliare in modo ancor più specifico gli indici sintomatici della non genuinità di un affidamento formalmente qualificato come ‘appalto’, ma in realtà dissimulante una somministrazione di personale” volta a integrare di fatto quello dipendente, dissimulando contratti di somministrazione di manodopera, la cui stipula è peraltro consentita solo ad apposite agenzie di somministrazione lavoro iscritte in apposito albo. Ma c’è dell’altro.
 
Questo tipo di reclutamento sfugge completamente a un normale sistema di lavoro dedicato espressamente alla tutela della salute, poiché:
a) non è prevista alcuna verifica preliminare su chi verrà chiamato a lavorare, salvo, forse, eventuali visioni di curricola;
b) non può esistere alcun controllo sull’effettiva “lucidità” di tali medici, spesso divisi fra più ospedali e servizi risultando impossibile una garanzia sui riposi secondo normativa europea (medici che per esempio finiscono il turno notturno e passano a lavorare in altra sede o che superano sistematicamente il monte orario massimo settimanale normalmente previsto per un dipendente);
c) la responsabilità di equipe viene indebitamente condizionata dalla presenza di medici “di passaggio” con rapporto occasionale di lavoro;
d) è di fatto una delega al privato ripagato con soldi pubblici per la gestione di un servizio pubblico. Nell’ottobre scorso ANAAO ha formalmente diffidato tutte le Aziende ed Enti del SSN contro questa prassi illecita.
 
2. Contratti “flessibili” e danno erariale conseguente.Non brilla per nulla nemmeno la scelta di bypassare le disposizioni normative assumendo medici con contratti “flessibili”, in particolare Co.Co.Co. o libero-professionali con partita IVA. L’art. 7, co. 5-bis, del D.Lgs. 165/2001 aggiornato al DL 75/2017, dispone che “è fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. I contratti posti in essere in violazione del presente comma sono nulli e determinano responsabilità erariale”. 
 
Non solo, poiché il successivo comma 6 precisa che il ricorso a tali contratti di collaborazione “per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei soggetti incaricati ai sensi del medesimo comma come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”.
 
Anche tali soluzioni – peraltro a risparmio per aziende e ospedali – mascherano infatti veri e propri rapporti di dipendenza, e non possono essere utilizzate per le attività ordinarie. La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Basilicata ha ribadito il principio della cosiddetta “autosufficienza” dell’organizzazione degli enti che devono svolgere funzioni e servizi di loro competenza solo mediante il personale in servizio con conseguente illegittimità dei contratti che violano tali presupposti (deliberazione del 12 giugno 2008, n. 23).
 
Il ricorso a rapporti autonomi coordinati è quindi precluso, perché “l’utilizzo di queste ultime non risulta conforme alla logica sottostante alla legge finanziaria 2008, che è quella di limitare l’instaurazione di rapporti di lavoro parasubordinato e/o flessibile per l’esercizio di attività amministrative ordinarie” (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione del 4 marzo 2008, n. 37). Si tratta quindi anche di danno erariale. È inoltre evidente che anche per questi “medici in affitto” non è assolutamente possibile essere certi del rispetto della normativa europea sui riposi o che di fatto non incidano negativamente sulla responsabilità di equipe.
 
3. D.Lgs. 165/2001, art. 7 co. 6.Ritorna l'abusato art. 7 co. 6 del DL 165/2001, secondo cui “per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria”.
 
Oltre a introdurre il termine di “esperti” e di  “comprovata specializzazione”, nei presupposti di legittimità la norma ribadisce ulteriormente che la prestazione deve essere “altamente qualificata” (art. 7, co. 6, c). Come abbiamo già denunciato, gli enti sanitari si appoggiano in modo improprio e paradossale a questo articolo, poiché l'applicazione del concetto di “esperto” in ambito ospedaliero e in particolare nell'Emergenza-Urgenza deve rispettare standard di qualità elevati e ben definiti.  Può considerarsi “esperto” e “altamente qualificato” un medico neolaureato arruolato in un Pronto Soccorso?
 
Andrebbe aggiunto che spesso si delega ulteriormente a questi medici la gestione dei cosiddetti codici "minori" (bianchi e verdi), secondo una visione fuorviante, poiché è proprio fra questi che si nascondono le insidie e i casi spesso più difficili da interpretare per il medico di Pronto Soccorso, nonché il maggior numero di sinistri. Il codice colore è solo una sorta di semaforo di priorità d'accesso, non un indice di appropriatezza di accesso al Pronto Soccorso. Servono veri medici “esperti”. Quindi, invece di reclutare “esperti” per attività non ordinarie, si arruolano finti esperti per attività ordinarie. L’interpretazione di questo articolo da parte delle amministrazioni sanitarie risulta così totalmente forzata e soggettiva, per non dire fantasiosa.
 
4. Pensionati.Il conferimento a medici in pensione di incarichi retribuiti per attività ospedaliera nella pubblica amministrazione è altresì illegittimo. Il D.Lgs. 90/2014 come convertito con modificazioni nella L. 114 modificando l’art. 5 co. 9 della L. 135/2012 vieta infatti di assegnare incarichi di consulenza, o dirigenziali, “a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza“, come già previsto dall’art. 5 co. 9 del D.Lgs. 95/ 2012, che come poi appunto modificato, precisa ulteriormente che per i pensionati “incarichi e collaborazioni sono consentiti esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno non prorogabile né rinnovabile presso ciascuna amministrazione”.
 
Non sono previste pertanto ulteriori deroghe. Tali principi sono stati ribaditi dalla Corte dei Conti Lombardia con deliberazione 180/2018, richiamando anche la deliberazione 35/2014/PREV della Corte dei Conti - Sezione Centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato.
 
Negli ultimi anni i governi hanno tentato di sanare alcune di queste anomalie, con lo scopo di contribuire – anche se con ulteriori soluzioni “tampone” – a incrementare le stabilizzazioni di personale precario, anche in Pronto Soccorso:
 
Col DPCM 6 marzo 2015, art. 6, co. 4 (“Disciplina delle procedure concorsuali riservate per l’assunzione di personale precario del comparto sanità”) e le successive indicazioni condivise dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, si disponeva la possibilità di accesso ai concorsi per la stabilizzazione presso i servizi di emergenza e urgenza delle Aziende sanitarie, anche senza specializzazione in medicina d’urgenza, purchè con almeno cinque anni di prestazione continuativa antecedenti alla scadenza del bando di concorso, con termine ultimo per bandire le procedure al 31/12/2018. La norma era confusa, perché non stabiliva chiaramente a quali tipologie contrattuali fare riferimento; oltretutto, la Conferenza delle Regioni, precisava che fosse comunque necessaria una specializzazione, anche non equipollente.
 
Il D.Lgs 75/2017, art. 20, co. 2 (l'ormai famosa legge “Madia”, per il “superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”), con successive decisioni applicative della Conferenza delle Regioni del 15/2/2018, ha stabilito una finestra temporale entro cui includere il personale già reclutato con contratto di lavoro flessibile al fine di una sua stabilizzazione, pur sempre vincolato ai criteri di ammissione secondo la normativa vigente, ovvero con necessità di specializzazione. Si tratta di poter bandire concorsi riservati, ma in misura non superiore al 50% dei posti disponibili, per chi abbia lavorato con tali tipologie contrattuali per almeno tre anni, anche in sedi e periodi differenti, sempre con la medesima mansione, in un periodo di otto anni antecedente al 31/12/2017, già in contratto successivamente alla data di entrata in vigore della legge 124/2015 (data fissata al 28/08/2015) e con priorità di accesso per chi fosse stato in servizio alla data in vigore del D.Lgs 75 (22/06/2017).
 
Dopo la contestata Legge di bilancio 2019 appena varata, è stato bocciato per il DL semplificazioni l’emendamento che proponeva di ammettere ai concorsi per la stabilizzazione nei servizi di emergenza-urgenza anche chi non fosse in possesso di specializzazione, purché vi avesse già lavorato anche con contratti di lavoro flessibile per un periodo di almeno quattro anni negli ultimi dieci anni, con scadenza delle procedure concorsuali fissata al 31/12/2019. Una sanatoria temporanea, che seppure discutibile sotto alcuni aspetti avrebbe potuto quantomeno stabilizzare non poche situazioni lavorative fra le numerose criticità presenti nei Pronto Soccorsi.
 
Infine, sono doverose alcune considerazioni conclusive, sia a tutela dei pazienti che dei dirigenti medici e sanitari, anche in relazione alla necessità di ridurre al minimo il rischio clinico, di cui la politica pare non interessarsi abbastanza:
1. la legge tutela i cittadini e la loro salute, la sicurezza di tutti; gestire continuamente e in modo recidivo la salute attraverso deroghe illegittime, o di sanatoria in sanatoria, rappresenta sempre e comunque un costante grave pericolo;
 
2. di risposta, le Amministrazioni recitano sempre la solita litania: “dobbiamo garantire i servizi”. Rispondiamo molto semplicemente: e perché non riorganizzare i servizi non in base alle teoriche aspettative di progetti organizzativi privi di risorse adeguate, ma in base alle risorse stesse? Siete davvero sicuri che tutti i pazienti che si recano in un Pronto Soccorso ne abbiano veramente bisogno? Non sarebbero altri i servizi a cui doverli affidare?
 
3. medici non opportunamente formati non possono ritenersi esaurientemente competenti nella diagnosi differenziale e nella gestione delle criticità di vario ordine e grado in ambiente ospedaliero, specie nell’emergenza-urgenza. Ciò deve dissuadere ad arruolare chi non sia in possesso di una formazione ben strutturata.
 
Il SSN pubblico ospedaliero non sta continuando a reggersi di certo per mezzo di decisioni politiche e amministrative, ma solo grazie alla preparazione, la competenza e l’abnegazione della dirigenza medica e sanitaria. Quanto potrà durare ancora?
 
Mirko Schipilliti
Commissione Nazionale Emergenza-Urgenza ANAAO ASSOMED

07 febbraio 2019
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