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Sostenibilità del Ssn. La ricetta di Slow Medicine

di Antonio Bonaldi

19 GEN - Gentile direttore,
mentre in Italia è in corso un vivace dibattito sulla sostenibilità del Servizio Sanitario e il diritto di tutti i cittadini di accedere alle cure di cui hanno bisogno (compresi i servizi di prevenzione), un nuovo Rapporto dell’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che accoglie 35 Paesi, tra cui l’Italia), ci rivela cha almeno un quinto della spesa sanitaria rappresenta un deprecabile spreco.

La questione ci pare di particolare interesse proprio nel momento in cui, dopo 15 anni dal primo provvedimento, stanno per essere approvati i nuovi LEA (livelli Essenziali di Assistenza), cioè le prestazioni e i servizi sanitari che lo stato si impegna a garantire a tutti i cittadini. Un provvedimento atteso da lungo tempo che contiene molte novità. Per esempio, adegua le prestazioni di specialistica ambulatoriale alle nuove conoscenze scientifiche e all’innovazione tecnologica, aggiorna il nomenclatore delle protesi e degli ausili per le persone disabili, individua più di 100 nuove malattie rare, assicura vaccini gratis per tutti e molto, molto altro ancora. In poche parole, attraverso un elenco di centinaia e centinaia di pagine, lo stato proclama di assicurare (quasi) tutto a tutti, compresa l’adroterapia, l’endoscopia con microcamere ingeribili e le attrezzature domotiche.

Possiamo, quindi, stare tranquilli? Abbiamo tutto ciò che serve per la nostra salute? Non direi proprio. Certamente si tratta di un passo avanti sul cammino dei diritti, ma di fatto saranno le Regioni a garantire la fruibilità dei vari servizi e a questo proposito ben sappiamo che le differenze tra le aree geografiche sono enormi. Per esempio, solo il 65% dei pazienti con infarto del miocardio è sottoposto ad un’angioplastica coronarica salva-vita entro 48 ore dall’accesso in ospedale, con differenze tra nosocomi che variano da 0 a oltre il 90% . In pratica (con buona pace di quanto riportato nei LEA) una persona potrà ricevere o meno la cura da cui dipende la vita o la morte, a seconda dell’ospedale in cui avrà la fortuna o la sfortuna di essere trasportata.

La concreta possibilità di godere dei servizi e delle prestazioni richiamate nei LEA dipenderà, quindi, dalle capacità organizzative delle Regioni e dai finanziamenti messi a loro disposizione che, a dire il vero, sembrano poca cosa rispetto alle altisonanti promesse. Il problema si presenterà soprattutto nelle Regioni già impegnate nei gravosi piani di riequilibrio del bilancio, che molto difficilmente sopporteranno gli oneri connessi alla realizzazione di nuovi servizi. Si pensi per esempio all’estensione generalizzata dell’assistenza domiciliare integrata per i malati cronici, alle cure specialistiche domiciliari di fine vita, all’assistenza residenziale extra-ospedaliera per persone non autosufficienti, quando mancano perfino le barelle su cui far sdraiare i malati in attesa di ricovero in ospedale. Insomma, le speranze dei cittadini di ricevere un’assistenza di buona qualità saranno in gran parte condizionate dai provvedimenti attuativi affidati alle Regioni e alla possibilità di reperire nuove risorse.

In questo senso il documento dell’OCSE ci suggerisce di indirizzare l’attenzione su tre fronti.
• Eliminare le prestazioni sanitarie inappropriate, quelle cioè che sono più dannose che utili.
• Scegliere, tra le diverse alternative disponibili, quelle meno costose.
• Agire sulle inefficienze, le ridondanze amministrative, le frodi, i conflitti d’interesse e la corruzione che imperversano nel sistema sanitario.

Certamente a questo riguardo vi sono decisioni che competono ai politici, agli amministratori e ai manager, ma non solo a loro. Vi sono iniziative che fanno leva soprattutto sul senso di responsabilità dei professionisti sanitari, sulla loro competenza scientifica e tecnica, sulle loro abilità comunicative e sulla possibilità di un diretto coinvolgimento dei cittadini.

Rispetto ai primi due punti il rapporto dell’OCSE richiama l’attenzione sull’ampia variabilità prescrittiva che caratterizza alcuni servizi sanitari e che rivela un uso eccessivo di alcune prestazioni sanitarie quali, per esempio: il parto cesareo, gli antibiotici, gli screening oncologici, le cure aggressive di fine vita, l’angioplastica in pazienti con angina stabile, le artroscopie del ginocchio per osteoartrite, le indagini radiologiche per il mal di schiena, le benzodiazepine nell’anziano, le statine, le vitamine e i sali minerali, ecc. ecc. Sottolinea il basso utilizzo di farmaci generici molto meno costosi dei relativi brand, l’eccessivo ricorso al pronto soccorso e più in generale il trattamento in ospedale di patologie croniche che potrebbero essere gestite meglio e in modo meno oneroso nell’ambito dei servizi di assistenza primaria.

Tra le diverse iniziative segnalate per affrontare questo fenomeno il Rapporto dell’OCSE riserva uno spazio particolare alla Campagna Choosing Wisely, di cui Slow Medicine è uno dei partner internazionali con il progetto "Fare di più non significa fare meglio - Choosing Wisely Italy” . Tale campagna, avviata negli USA e oggi diffusa in 18 Paesi distribuiti su 4 continenti, parte dal basso e si propone di incoraggiare il dialogo tra professionisti e pazienti allo scopo di discutere i benefici e i rischi dei trattamenti che vengono loro proposti. A questo fine le Società Scientifiche, insieme alle associazioni di consumatori e pazienti, individuano alcune prestazioni di uso corrente che non portano benefici significativi ai pazienti ma che possono esporli a possibili effetti dannosi. Il loro impiego, peraltro, contribuisce a sprecare risorse che potrebbero essere opportunamente impiegate per assicurare, a tutti quelli che ne hanno bisogno, prestazioni di comprovata efficacia.

In questi giorni anche il Lancet ha dedicato un’importante rubrica al tema del sovrautilizzo e sottoutilizzo di prestazioni sanitarie e i relativi lavori sono stati discussi presso il King’s College di Londra, dove anche Slow Medicine, con Andrea Gardini, ha potuto presentare le proprie iniziative.

Insomma, molte voci autorevoli ci stanno dicendo che per assicurare a tutti cure di buona qualità occorre affrontare uno dei grandi paradossi della medicina d’oggi: convivere con una grave crisi finanziaria che impedisce a molte persone di usufruire di cure essenziali (salva-vita), mentre un ingente quantità di risorse è sperperata per eseguire prestazioni sanitarie non solo inutili ma addirittura dannose. Ma ciò che ci lascia più amareggiati è che tutto ciò si consuma senza suscitare grande interesse tra la maggior parte dei professionisti, senza generare alcuno scandalo tra politici e amministratori, nella totale indifferenza dei media e, non ultimo, avvalendosi dell’assenso dei pazienti, vittime ignare di condizionamenti culturali secondo cui fare di più è sempre meglio.

Noi di Slow Medicine stiamo tentando di dare una svolta a questa pericolosa deriva ma siamo ben consapevoli che la sfida è molto dura perché gli interessi in gioco sono tanti e non sempre palesi, priorità e incentivi spesso collidono, le alleanze sono difficili e imprevedibili, ma soprattutto perché si tratta di mettere in atto un cambiamento culturale che riguarda tutti: professionisti, politici, amministratori, pazienti e cittadini.

Antonio Bonaldi
Presidente di Slow Medicine 

19 gennaio 2017
© Riproduzione riservata

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