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I medici che la notte...

di Giovanni Leoni (Omceo Venezia)

28 NOV - Gentile Direttore
la vita professionale del medico consta di 24 ore al giorno.  La notte di guardia si declina in vari mo-di, da quella in guardia medica a quella  del reparto universitario,  da quella in pronto soccorso a quella in sala operatoria.  Ma  vedere l’alba in pronto soccorso è  una costante.  
 
Si percepisce sullo sfondo, dal cambio di luminosità delle finestre,  mentre  si passa dall’edema polmonare del mattino all’incidente in itinere  di quelli che vanno al lavoro in motorino con le strade ghiacciate d’ inverno.
 
A volte te ne accorgi quando la luminosità è già evidente e ne sei quasi sorpreso, altre volte hai il tempo di scrutare fuori il nuovo giorno che avanza  in mezzo all’aroma del caffè .
Non è detto che sia tu a berlo, perché ne hai già buttati giù troppi e lo stomaco si ribella , ma è il classico profumo del mattino,  che si mescola a quello dei prodotti di pulizia delle sale.
 
Anche questo turno sta per finire ma  sembra appena cominciato, sono le  gambe e gli occhi che te lo ricordano,  le prime sono pesanti come la pietra,  gli occhi ti bruciano perché in pratica sei in piedi da 24 ore, visto che  è residuale il tempo che hai dormito al pomeriggio prima di andare al lavoro.
 
In sala operatoria se tiri l’alba,  chiamato in reperibilità,  il tempo è scandito dal cambio turno: prima gli infermieri,  poi gli anestesisti, i chirurghi no, mai, quelli restano sempre “lavati” fino alla fine 
dell’intervento che hanno iniziato.
 
E’ una tradizione, una regola non scritta, non detta, si impara fin dall’inizio, quando si fa ancora in tempo a cambiare strada.  Certo se uno ha un problema può sempre chiedere il cambio, ma non succede praticamente mai, sarà un caso.    
 
La vita riprende bruscamente al blocco operatorio,  comincia  alle 7.00   tutta la preparazione per gli interventi che partono dopo le 8.00 nelle altre sale,  ortopedia, urologia, oculistica, otorinolaringoiatria, e tutte le altre chirurgie specialistiche.  La chirurgia generale molo spesso  no, quella è magari è già operativa dalla notte, o stanno ancora pulendo perché l’intervento è finito da poco,  e può essere un problema per gli interventi di elezione  già programmati in quella sala al mattino.  
 
Tu esci stranito e l’adrenalina ti terrà in piedi ancora per un  bel po',  ma per tutti gli altri sta cominciando una giornata come le altre, ricomincia la vita, le voci, il rumore delle barelle, è  il popolo del blocco operatorio. Ti senti un pò distaccato, ed  anche quando la gente ti parla ti senti  diverso dal solito, poi trovi in spogliatoio un  collega  di un altro reparto che inizia in quel momento  e ben presto questo conclude il discorso con un: ma và  a dormire.   
 
Alla  fine  dopo le consegne  si smonta ma moltissimi vanno a fare un ultimo giro per controllare quello che hanno fatto di notte, magari già in borghese si guardano i primi esami del mattino .
Il distacco è difficile, a volte invece è quasi una fuga,  mai un passaggio indifferente.
 
La notte è finita,  il momento supremo della responsabilità, di fare o non fare. E sopratutto cosa. Di notte devi decidere da solo, tutto. Certo puoi chiedere a qualcuno, c’è sempre un telefono che risponde da qualche parte. Ma in definitiva è meglio se ti arrangi.  La  terapia da prescrivere,  se   ricoverare, se fare i raggi, se chiamare un consulente, se attivare la sala operatoria che vuol dire mettere in moto  una macchina che prevede almeno 6 persone di cui almeno 3 a casa   (2 chirurghi ed un infermiere strumentista) nella formazione tipo. Sta tutto a te. Certo puoi chiedere  al chirurgo responsabile dell’équipe di assumersene  la responsabilità, ma  non va tanto bene. E’ una questione di affidabilità.
 
Ed al mattino seguente dovrai rendere conto di tutto, al primario o all’aiuto “anziano” ma in particolare a te stesso, potrai essere  messo di fronte al  fatto che non hai fatto abbastanza o hai addirittura fatto troppo.  Sei condannato a fare “il giusto”. Sei messo di fronte alla tua prova di professionalità,  un esame quotidiano per giovani e meno giovani,  davanti ai colleghi ed agli infermieri,  da cui ad un certo punto ti separerai,   e riprenderai i vestiti borghesi,  ma in testa ti resteranno i pazienti che hai curato e che si sono affidati a te  perché tu sei stato il loro dottore, anche se non li hai mai visti pri-ma, ma il vissuto di quella notte vi ha uniti per un tempo limitato  in modo diretto ed  inscindibile.     
 
Siamo tutti fatti così noi medici, con piccole variazioni, lo vedo, lo percepisco  dai discorsi delle 3 di notte chiamato in consulenza al PS, quando  ho finito e mi fermo un po' a parlare prima di tornare in reparto  o quando incontro alle 5 il collega della medicina che  viene in chirurgia a vedersi l’ultimo suo ricovero “in appoggio”  da noi perché ha finito i letti, seguito dal corteo dei parenti del malato stravolti da una notte da dimenticare.  
 
Gli urgentisti realmente e costantemente operativi non sono tanti in realtà,  statistiche alla mano sono in minoranza in ospedale e meno ancora se paragonati alla globalità della medicina del territorio  o dei distretti, alla odontoiatria ed alla libera professione.  Per questo hanno bisogno della solidarietà di tutti i loro colleghi, in particolare di quelli che hanno scelto altre strade,  perché in un contesto di blocco del turnover e delle assunzioni, loro  hanno un’attività più usurante  ed esposta ad errori,
 
Questo maggiore impegno dovuto ad una particolare predisposizione d’animo non deve tramutarsi in una condanna, deve essere riconosciuto  ed adeguatamente considerato,  non solo dalla politica e dalle direzioni, ma anche  dagli altri colleghi, e da tutti i cittadini  perché di “quelli della notte” possiamo aver bisogno tutti e devono essere messi nelle condizioni di lavorare al meglio  delle loro possibilità  nell’interesse globale. Questa solidarietà loro   non ve la chiederanno mai, ma io non mi vergogno a chiederla a voi  per loro, ho accettato questo  prestigioso incarico di presidente apposta.     
 
Forse risulterò un pò ripetitivo su certi concetti e me ne assumo la responsabilità  ma mi rendo conto che abbiamo a che fare con degli ipoacusici (quelli che ci sentono poco) e quindi continuo su questa strada, visto che non abbiamo neanche fatto sciopero. L’importante è ritrovarsi fra compagni di viaggio, in vite  separate ma con le stesse affinità elettive, ed andare tutti nella medesima, giusta, direzione .                                 
 
Dr. Giovanni Leoni
Presidente OMCeO Provincia di Venezia

28 novembre 2016
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