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Da Monaco a Nizza. Come fare i conti con questi adolescenti deviati

di Pietro Pellegrini

29 LUG - Gentile Direttore,
venerdì 22 luglio 2016 a Monaco di Baviera un adolescente, appena maggiorenne, ha ucciso 9 persone e poi si è suicidato. Dalle prime notizie non si è ben compreso se avesse agito solo o con complici e se vi fosse una finalità terroristica.  Poi la vicenda è parsa più chiara ed escluse finalità eversive, si è accesa l’attenzione sull’autore, sulla sua vita e sulla sua salute mentale, visto che pare essere stato in cura. Non ho certamente gli elementi sufficienti per parlare della persona e delle sue condizioni di salute e in questo breve contributo vorrei proporre alcune riflessioni su quanto accaduto e sugli elementi finora emersi che possono essere importanti fattori di rischio o di protezione, utili per un discorso più generale.

A pochi giorni dalla strage di Nizza la domanda è: si tratta di casi isolati  o della punta di un iceberg, cioè di qualcosa di più generale che non stiamo cogliendo con la dovuta attenzione? A mio parere sembrano casi singoli ma che purtroppo possono ripetersi in un contesto, quello vissuto dalle giovani generazioni, assai difficile. E va detto con chiarezza a scapito di ogni malinteso: la stragrande maggioranza dei ragazzi pur con le difficoltà di oggi si impegna, è brava, preparata e meriterebbe ben altre prospettive per il futuro. L’Europa è lo scenario nel quale i giovani italiani vedono la loro vita. Spostarsi da Parma a Londra è naturale come lo era andare da Parma a Bologna. Il mondo è diventato interconnesso e tutto è più vicino.

Questa globalizzazione è una grande occasione di sviluppo delle conoscenze e delle convivenze fra diversi ma è anche un rischio perché determina sradicamento e smarrimento.

Lo stesso vale per la multiculturalità che può diventare un problema identitario per chi è migrante, che vive con incertezze, senza una base e riferimenti sicuri e stabili. La coesistenza nello stesso palazzo di culture diverse può portare ad arricchimenti notevoli ma certo anche a tensioni. Si pensi a come culture diverse vedono la donna, la sessualità, i ruoli familiari e sociali e le scelte della vita. L’autodeterminazione della persona che è molto diffusa nella cultura occidentale non è tale per molte altre culture dove le subordinazioni di genere, di famiglia o di casta sono ancora molto presenti. Ed è diverso se tutto questo avviene a migliaia di chilometri di distanza e in ambiti sociali omogenei  o fianco a fianco nella stessa scuola, nello stesso palazzo. L’incontro con l’altro diviene la base per la reciproca comprensione se fondata sul rispetto e l’accettazione di valori condivisi e non imposti. L’occidente “illuminista” si confronta con culture fondate su altre basi. Con tutte le conseguenze e lo smarrimento che le persone possono vivere.

In particolare i migranti: la migrazione come fuga  e speranza ma anche essa stessa  come possibile trauma, in una catena politraumatica dove traumi preesistenti si sommano a quelli successivi alla stessa migrazione.

Traumi che derivano da violenze fisiche, sessuali, psicologiche, abusi compreso il bullismo, abbandoni e negligenze. Traumi che destrutturano lo sviluppo e il funzionamento psichico e che inoltre non trovano un contesto di riferimento capace di favorirne l’elaborazione e di farvi fronte con la necessaria resilienza. Traumi che persistono (o ne perdurano gli effetti) e oltre a specifici disturbi determinano vissuti di rabbia,  umiliazione che a volte diviene vendetta: distruzione di ciò che si è desiderato e non si è avuto, di compagni che si è cercato di avere come amici (l’invito al Mc Donald dei compagni è inquietante ). Tutto è avvenuto al supermercato, moderna agorà, dove le merci divengono valori e le persone consumatori, ma dove si svolge anche la vita ordinaria della maggior parte dei cittadini, quasi che sia stata una normalità identitaria irraggiungibile il bersaglio da colpire prima negli altri (specie se stranieri, turchi ecc.) e poi in se stesso (quel gridare “sono tedesco”).    

Traumi che spesso portano all’isolamento dal quale la persona cerca di uscire anche mediante internet. La rete è una grande possibilità: accoglie tutti, non identifica , non giudica, non corregge, il bene e il male sono egualmente presenti, può dare informazioni su tutto, mostra e nasconde. L’adolescente che fa fatica ad entrare nel gruppo dei pari età, che ha difficoltà con l’altro sesso, può trovare nella rete accoglienza, opportunità, gruppi di riferimento, modelli ideali. La rete è sì virtuale ma molto reale per la persona che la vive.

Da diverse parti si sta cercando di approfondire come le nuove tecnologie informatiche possono agire sul funzionamento mentale nelle varie età della vita: ad esempio su attenzione, memoria,  ecc.  Ma anche su come agisce sulla strutturazione dell’esame di realtà cioè di quella funzione che ci consente di separare  e riconoscere ciò che fa parte del mondo interno soggettivo rispetto a quello del mondo esterno condiviso. E’ parte delle funzioni che permettono di distinguere il  virtuale rispetto al reale e di creare il senso del limite e dell’autocontrollo. La rete agisce anche nella strutturazione delle identità, le rafforza, ne costruisce di fittizie, le può manipolare. Nella rete tutti sono apparentemente uguali e diversi, non ci sono limiti e sostanzialmente nemmeno conseguenze.

Se il riferimento dell’adolescente non è più il gruppo dei pari e non vi sono contesti adulti di riferimento autorevoli e capaci di facilitare con l’esempio i processi identificatori (il ragazzo ha bisogno di vedere come si fa), le modalità di composizione dei conflitti, come si affrontano i problemi e si superano le difficoltà, si costruiscono i progetti, allora l’adolescente è allo sbando e può finire nell’isolamento e nella solitudine.  L’abbandono scolastico e i NEET,  oltre alle conseguenze specifiche per l’educazione e il lavoro, hanno possibili  ricadute negative anche sul piano psicologico e divengono specifici fattori di rischio per la salute mentale.

Se non c’è più un gruppo, manca ogni prospettiva  l’adolescente non ha nulla da perdere. La persona senza futuro e senza nulla da perdere può diventare molto pericolosa e per uscire dalla disperazione e dall’insignificanza può agire e mettere in atto azioni clamorose, memorabili: essere ricordato per sempre per la propria  negatività (una sorta di narcisismo maligno, di riscatto post mortem).

Il ruolo dei contesti familiari, educativi e sociali diviene fondamentale specie se sanno accogliere, indirizzare, tutelare, educare dando identità riflessa e ruoli a tutti. A beneficiarne sono soprattutto i soggetti deboli. I contesti possono a loro volta essere malati, devianti o criminali (si pensi all’ISIS, ma anche alla criminalità organizzata) ma comunque per i singoli hanno l’effetto già detto (come si vede bene negli scritti di Saviano), cioè strutturano, contengono, incanalano, consentono progetti.

Quindi viene da riflettere sulla qualità e la salute dei contesti: sulla loro capacità e possibilità di prendersi cura con strumenti educativi, sociali e sanitari di tutte le persone, non escludendo alcuno.

Nel caso dell’adolescente (tedesco e iraniano, una coesistenza per lui  impossibile) di Monaco pare che tanti fattori di rischio, comuni a molte persone, si siano sommati e “qualcosa” abbia fatto diventare reali inquietanti vissuti intrapsichici (o visti solo nella rete). Un “qualcosa”  che ci interroga profondamente. Sembra  che molti interventi siano stati fatti ma non sono stati in grado di prevenire e non sappiamo perché. Al momento si possono fare solo ipotesi ed  oltre ai limiti delle discipline medico psichiatriche e sociali occorre chiedersi se è lo scenario  valoriale complessivo ad essere in crisi, a non costituire un solido riferimento che vede nella vita umana, nella persona qualcosa di unico e irripetibile e quindi inviolabile. Gli esseri umani sono assai aggressivi ed hanno sviluppato molteplici mezzi per amplificare questa loro carica. La distruttività a volte prevale come è accaduto per le ideologie politiche o i fanatismi religiosi o i deliri ed il male (anche nella sua banalità) è dilagato  ad un certo punto senza un senso colpendo innocenti inermi.  Dobbiamo riflettere molto affinché da ogni parte  non vi siano mai  vite che per qualcuno non siano degne di essere vissute.
 
Pietro Pellegrini
Direttore del Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche
Ausl di Parma

29 luglio 2016
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