Caso Magherini ed emergenze sul territorio. Chi soccorre, lo faccia per professione
di Roberto Romano
14 LUG -
Gentile direttore,
è delle ore in cui le scrivo la notizia della sentenza di primo grado del caso Magherini. Come Lei ed i suoi lettori ricorderanno si tratta di una bruttissima pagina di cronaca che, oltre a vedere una giovane vita spezzata, ha portato sul banco degli imputati un gruppo di quattro Carabinieri intervenuti quella notte, oggi ritenuti colpevoli di omicidio colposo (solo tre di loro, tra cui uno ritenuto colpevole anche di percosse, mentre uno invece è stato assolto da tutti i capi di imputazione), e tre volontari della CRI (uno purtroppo deceduto in un incidente stradale durante il periodo di istruttoria) che oggi vanno assolti. Non devono poi essere dimenticati il medico e gli infermieri della centrale 118 e dell’automedica intervenuta, inizialmente imputati, per i quali è stato deciso il non luogo a procedere in fase di istruttoria.
C’è da dire che oggi ci troviamo di fronte soltanto alla sentenza di primo grado, di cui sarà interessante leggere le motivazioni specie per quello che riguarda l’assoluzione delle due volontarie, che potrà vedere, come la Legge prevede e se ritenuto necessario dalle parti, un seguito in successivi gradi di giudizio. Quello su cui mi pare giusto aprire una riflessione è però il quadro di riferimento, variegato e spesso contraddittorio, su cui si è impostato il sistema 118 nel nostro Paese.
Intanto c’è da dire che, a differenza di quanto succede nella maggior parte dei Paesi Europei, in Italia si continua ad affidare il servizio di emergenza urgenza, specie nell’attività operativa, a volontari che sono formati con standard, adottati comunque secondo precisi riferimenti legislativi, che risultano essere a volte datati e ben lontani da quelle che sono le necessità tecniche e di tutela per il cittadino e per gli stessi operatori.
Oggi il soccorso richiede elevati standard di professionalità, coperture assicurative cospicue, e dei livelli ben definiti di competenza che non lascino spazio ad interpretazioni.
La CRI, alveo in cui personalmente mi sono formato fin da ragazzino come volontario ed istruttore e che tanto ha dato alla mia personale costituzione di forma mentis e di futuro professionista sanitario, ha peraltro sempre badato molto attentamente alla formazione dei suoi volontari. Lo dico con affetto sincero verso un’ente che mi ha dato tanto, e al quale io ho dato tanto, e per affermare che il problema, anche nello specifico del caso Magherini e al netto delle responsabilità individuali che la sentenza di oggi comunque nega, non può essere ridotto al solo operato del singolo ma a problematiche a mio parere evidenti nell’implementazione dei sistemi di emergenza territoriale nell’intero Paese.
Sono personalmente contento, me lo lasci dire, che le due volontarie di Firenze siano, almeno per il momento e mi auguro anche per il futuro, uscite senza danni ulteriori da questa brutta faccenda. La mia contentezza è però stemperata dalla evidente mancanza di presa d’atto, da parte di alcuni vertici (o forse sarebbe meglio dire quadri intermedi, dato che ho l’impressione che a livello apicale il problema sia ben compreso) del mondo del volontariato e della politica, che un problema si sia comunque palesato in maniera prorompente.
Non è sufficiente, in casi come questo, abbassare la testa e sperare che una bomba non faccia danni. Sarebbe meglio prevenire ulteriori possibili esplosioni con una seria attività di costruzione di una alternativa che sia utile e credibile.
Ritengo che i tempi siano maturi per passare ad una figura professionale che inquadri ed inserisca a pieno titolo il “soccorritore qualificato” nel sistema 118 da professionista, e non da semplice volontario che doni il suo tempo libero ad una attività complessa e richiedente elevati skills tecnici e comunicativi, come accade adesso, esponendolo però a quanto hanno vissuto e stanno vivendo le due volontarie di cui sopra.
Lo si dovrebbe fare, sia chiaro, definendone molto bene responsabilità e limiti, evitando in ogni modo sovrapposizioni di competenza con le figure mediche ed infermieristiche già operanti nel sistema. L’inserimento di tale figura sarebbe tutelante, oltre che per i cittadini, per tutti i professionisti già operanti nel 118, i quali si troverebbero finalmente a lavorare in un sistema completamente professionalizzato, con tutti i vantaggi che questo comporterebbe per tutti.
In questo senso, visto che la politica è, o dovrebbe essere, visione prospettica, sarebbe auspicabile che finalmente si cominciasse ad occuparsi realmente e fattivamente di una più ampia rivisitazione del sistema di emergenza urgenza territoriale, inserendo come ho detto la figura professionale del soccorritore qualificato, rivisitando i ruoli e le dotazioni organiche necessarie per le figure mediche ed infermieristiche. Per gli infermieri, in particolare, sarebbe necessario andare verso una uniformità operativa, formativa, contrattuale e riguardante gli stessi criteri di accesso al servizio su tutto il territorio nazionale, prendendo ad esempio le buone pratiche ampiamente riconosciute e validate in regioni quali la Toscana e l’Emilia Romagna, giusto per citarne due che non sono comunque le uniche degne di nota in questo senso.
Sarebbe anche ora, forse, di trovare un accordo su quella che è la mission dei sistemi 118.
Al netto di tutte le polemiche tra esercenti di varie specializzazioni mediche, che anche ultimamente si sono lette sulla Sua testata, chiedo:
Hanno senso sistemi 118 dove il numero dei medici risulti pari o anche superiore a quello degli infermieri?
Dove ha senso impiegare i medici? Più sul territorio, dove si utilizzano quasi esclusivamente procedure e protocolli provenienti da realtà in cui questi sono messi in pratica da figure non sanitarie (o come avviene qui in Toscana, con buona pace di alcuni, da infermieri formati e con procedure chiare e validate in primis dalla Regione e poi dai direttori di struttura) o più in ospedale, dove la professionalità del medico e la sua capacità (e prerogativa) di effettuare diagnosi differenziale, utilizzare la diagnostica radiologica e di laboratorio, possono fare, e fanno, tutti i giorni la differenza?
A che pro continuare a negare, se non per logiche corporativistiche, che i mezzi infermieristici sono LA risposta all’emergenza territoriale in termini di versatilità, adeguatezza dell’intervento e competenza dei professionisti, e che essi hanno senso in sistemi dove esista un terzo livello medico vero e un livello base professionale che veda l’inserimento della figura del soccorritore qualificato in tutti i livelli di soccorso (dal mezzo BLSD, al mezzo infermieristico, fino all’automedica)?
Il 118 serve a portare TUTTI in ospedale, dove si procederà all’attività di diagnosi e cura, o deve servire a portare tale attività sul territorio? Tale attività portata sul territorio (non si confonda il 118 con la continuità assistenziale, come qualcuno fa già troppo spesso anche a livello centrale proponendo modelli, quali quello di un 118 che dovrebbe subentrare alla continuità assistenziale in orario notturno, che non sono sostenibili, almeno non nel mantenimento degli standards qualitativi necessari) offre la massima sicurezza a cittadini ed operatori, anche alla luce di quelli che sono i nuovi orientamenti legislativi (da Balduzzi fino ad arrivare a Gelli)?
Da persona che lavora tutti i giorni nel sistema 118 mi permetto di darLe una interpretazione personale che ho però discusso più volte, in situazioni ufficiali o in semplici scambi di opinioni con colleghi infermieri e medici: Vorrei un sistema che vedesse molti soccorritori qualificati (la figura dell’autista soccorritore già presentata in bozza dalle Associazioni di Volontariato, per intenderci, potrebbe essere una buona base di discussione) affiancati da molti infermieri di emergenza (ricreando un po’ quella che è la divisione di ruoli presente ad esempio negli USA tra EMT e Paramedics), questi ultimi formati ad hoc con una laurea magistrale ad indirizzo specifico, e pochi ma selezionatissimi medici (specialisti in medicina d’urgenza o anestesia e rianimazione), posizionati in maniera strategica nei territori e che intervengano nei casi in cui vi sia un acclarato bisogno della loro professionalità.
Il tutto, è bene non scordarlo dato che è alla base di qualunque sistema complesso, all’interno di un sistema di revisione continua di qualità e competenze, che ad oggi manca quasi del tutto, che si serva anche di tutti gli strumenti previsti dal Risk Management. Sistemi che seguono questa falsa riga, se pure con differenze da luogo a luogo, esistono e funzionano perfettamente in Europa e nel mondo.
L’ho già detto in altre occasioni e lo ripeto: IPASVI deve essere parte attiva in questo cambiamento. Vorrei maggiore attività della FNC in questo senso e mi piacerebbe che fosse istituito al suo interno, perché IPASVI è la casa degli infermieri, un tavolo permanente per quello che riguarda l’area emergenza-urgenza con lo scopo di farsi vettore di proposte, idee, valutazione e valorizzazione di buone pratiche e confronto con altre professionalità (medici) e portatori di interesse (Volontariato, per quello che concerne l’istituzione dell’autista soccorritore e non solo) nell’ottica di un miglioramento e di una razionalizzazione del sistema a livello nazionale.
Il caso Magherini avrebbe potuto e dovuto, già mesi or sono, aprire una discussione in questo senso. Speriamo che non si perda questa occasione, ancora una volta, abbassando la testa e fischiettando per lo scampato pericolo che una condanna delle volontarie avrebbe indubbiamente portato per la sostenibilità del sistema, fingendo di non vedere che è arrivato il momento di una revisione del sistema stesso.
Speriamo che non capiti a nessun altro volontario di ritrovarsi imputato di omicidio colposo per avere donato due ore del suo tempo ad una associazione di volontariato trovandosi in una situazione che sarebbe di difficile gestione anche per molti professionisti i quali avrebbero però, ovviamente, più strumenti (tecnici, esperienziali e di ruolo) per poterla gestire.
Speriamo soprattutto che la logica e l’evidenza scientifica ritornino, o forse sarebbe meglio dire arrivino, a governare i sistemi.
L’evidenza scientifica vede sistemi organizzati come quello che ho sopra indicato funzionare, e farlo bene. La logica porta tutti noi, mi perdoni la banalità, quando si rompe un tubo dell’acqua in casa ad evitare il fai da te, o il vicino di casa che “ogni tanto fa piccole riparazioni”, e a chiamare un professionista. A volte, pare, siamo più attenti ai tubi che si rompono in bagno che ad una Aorta che si rompe o a qualcuno che soffoca per strada. E’ troppo chiedere, da cittadini prima ancora che da professionisti sanitari, che chi ci soccorre lo faccia per professione o la spending review giustifica qualunque cosa?
Roberto Romano
Consigliere IPASVI Firenze Referente Area Emergenza Urgenza
14 luglio 2016
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