Epatite C. Nuovi farmaci a tutti? Proviamo a fare una discussione equilibrata
di Fondazione Allineare Sanita' e Salute, Csermeg e Wonca Italia
30 MAG -
Gentile direttore,
a seguito dell’
articolo di varie Associazioni di pazienti, con richiesta al Premier Renzi di garantire subito a tutti i nuovi farmaci anti HCV, la Fondazione
Allineare Sanità e Salute ha sostenuto che questa potrebbe non essere una scelta saggia. La
dura risposta di Ivan Gardini, Presidente di EpaC Onlus , richiede alcune precisazioni, con l’intento non di alimentare polemiche, ma di attenersi ai dati e di promuovere una discussione basata sugli stessi.
Una sola premessa: il Consiglio direttivo e il Comitato scientifico della Fondazione Allineare Sanità e Salute sono composti da professionisti che operano a titolo rigorosamente gratuito e senza conflitti di interesse con il SSN e con la salute della comunità. Nomi e brevi curricula si possono vedere sul
sito, che pubblica anche il nostro bilancio e quali siano le fonti di sostentamento delle iniziative che riusciamo a mettere in campo. Non abbiamo trovato sul sito di EpaC analoga pubblicazione, ma se EpaC la vorrà segnalare avremo completato le reciproche presentazioni.
Proviamo ora a intenderci meglio sui punti principali toccati dalla lettera del Presidente Gardini (senza per altro volersi sottrarre alla discussione su altri punti che volesse toccare).
1) Gardini cita l’ultimo dei lavori di un gruppo di epatologi/infettivologi italiani (Bruno S et al. J Hepatol 2016;64:1217) come prova delle sue tesi. In realtà questa importante ricerca osservazionale di coorte mostra che pazienti con cirrosi compensata, in caso di risposta virologica sostenuta/SVR ottenuta con regimi basati sull’interferone (per i quali anche studi clinici randomizzati controllati/RCT hanno già dato dimostrazione di efficacia su esiti finali di salute) hanno una speranza di vita sovrapponibile a quella della popolazione generale. Ciò è rassicurante, dato che questi pazienti hanno già oggi accesso ai nuovi farmaci (criterio 1), come pure i pazienti ancora non cirrotici ma con epatite cronica e fibrosi F3 (criterio 4), per i quali l’accesso ai nuovi farmaci non sembra in discussione.
Poi EpaC cita Forns X et al. EASL 2016, che mostra che nei pazienti F0-F1 che ottengono una SVR il 96% ha miglioramento della fibrosi e solo il 3% progredisce a F2; mentre nei pazienti F2 che ottengono una SVR la fibrosi migliora nel 69%, nel 16% resta stabile e nel 13% progredisce a F3. Certo, fare meglio è sempre possibile, e ci risulta si considerino già eleggibili ai nuovi farmaci anche sottogruppi di pazienti F2 a maggior rischio personale o di trasmissione, e si valutano possibili prossimi ampliamenti. Ma, alla luce di quanto richiamato al punto precedente, allo stato delle conoscenze non sembra che per questi pazienti sia in questione una riduzione dell’aspettativa di vita.
2) Gardini contesta l’affermazione che “4 infettati su 5 non avranno minor qualità di vita”. Dobbiamo insistere, citando i numeri dal sito di EpaC, dove si parla di 160-180 mila pazienti noti, potenzialmente destinatari di un trattamento antivirale con farmaci innovativi. Tuttavia, parlando degli infetti, sul sito di EpaC si trova una tabella che ne stima 2 milioni in Italia. L’intervento del Prof. Russello al Convegno di Palermo del 10 ottobre 2015, riportato sul sito di EpaC, parla del 3% (o poco meno) della popolazione generale, dunque circa 1,8 milioni di italiani.
È dunque verosimile che gran parte degli infetti non abbia minor qualità di vita, se si può proporre una fotografia in cui circa 9 soggetti su 10 ignorerebbero di essere portatori di HCV.
Altro è dire che (la minoranza de)gli infetti consapevoli di esserlo sopporta stigma e discriminazione. Ciò è solo in parte dovuto alla patologia, ma per molti è anche legato agli equivoci che la accompagnano, come se l’infettato fosse infettante. Ciò per fortuna non è, a meno che non scambi strumenti taglienti/sangue.
Altra occasione di trasmissione è quella da madre a figlio in gravidanza, che si verifica nel 2-8% dei casi (Webster DP et al. Lancet 2015;385:1124, ma può essere più comune nelle coinfezioni con HIV). La trasmissione sessuale tra partner eterosessuali che si dichiaravano monogami è estremamente rara (Terrault NA et al. Hepatology 2013;57:881: su 500 coppie con una media di 15 anni ciascuna di rapporti sessuali, solo 3 casi di trasmissione: in pratica 1 caso su 190.000 rapporti sessuali). La possibilità di infezione è maggiore nei rapporti omosessuali tra maschi, benché anche così sia nettamente minore rispetto ad altre infezioni a trasmissione sessuale. Tuttavia in questo caso la ricerca (Martin TC. AIDS 2013;27:2551) mostra che il 25% di maschi omosessuali HIV+ con SVR da HCV si reinfettano da HCV entro due anni se continuano i comportamenti a rischio: ciò pone la necessità da un lato di trattarli anche per evitare la circolazione dell’infezione, dall’altro di attuare forti investimenti educativi perché adottino pratiche sessuali sicure.
Si fa notare che anche la voce bibliografica 5) citata da Gardini (AISF. Epidemiologia delle epatopatie in Italia, 2007) riporta che “la maggior parte dei soggetti anti-HCV positivi negli studi popolazionistici… era in ottime condizioni fisiche, con un quadro estremamente diverso da quello che si osserva nella popolazione ospedaliera…”.
3) Citando letteratura, Gardini riporta che:
“Circa il 60% dei 10.116 morti per Tumori del fegato (Istat 2012) è HCV correlato (de Martel C et al. Hepatology, 2015).
Circa il 56% delle 6.600 morti per epatiti croniche e cirrosi è HCV correlato (AISF, citato) …
Ne consegue che si possono stimare circa 10.000 decessi/anno a causa di HCV.”
Qui però Gardini sbaglia, perché un’associazione non si può in automatico considerare una causa, e comunque spesso non è causa sufficiente.
Per dimostrarlo consideriamo la frazione ad es. di epatocarcinomi attribuibile a livello di popolazione a diversi fattori di rischio in base alle associazioni riscontrate in importanti fonti di letteratura (molte si riferiscono alla grande ricerca prospettica EPIC, su ~500.000 Europei, che include coorti italiane):
- Fumo di sigaretta: 25% (Agudo A et al. J Clin Oncol 2012;30:4550, EPIC)
- Diabete e obesità: 19-23% (Bhaskaran K et al. Lancet 2014;384:755 // Polesel J et al (Aviano). Ann Oncol 2009;20:353 // NB: secondo McGlynn K, AACR, 2010 il diabete, per la sua diffusione negli USA, sarebbe ormai la prima causa in assoluto di epatocarcinoma, dati del programma di sorveglianza SEER // e Wang P et al. Diabetes Metab Res Rev 2012;28:109, revisione sistematica e metanalisi, che segnala anche il probabile rischio da insulina e l’effetto protettivo di metformina)
- Alcol: 33% negli uomini e 18% nelle donne (Schutze M et al. BMJ 2011;342:d1584- EPIC)
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Carico totale di zuccheri: ~33% (Fedirko V et al. Ann Oncol 2013;24:553, EPIC)
- Alto consumo di latte e formaggi: ~25% (forse per aflatossine, o per effetti sui livelli circolanti di IGF-I) (Duarte-Salles T et al. Int J Cancer 2014;135:1662, EPIC)
- Alto consumo di carne rossa: ~+10% (aumento non significativo
*: Lippi et al (Verona). Crit Rev Oncol/Hematol 2016;97:1- revisione delle metanalisi pubblicate).
Potremmo proseguire, ma ci fermiamo perché la somma è già sopra al 130%, e non abbiamo ancora computato il contributo dei virus HBV e HCV. Questo non significa ovviamente che l’HCV non abbia un ruolo importante, ma spiega che questo non è indipendente da altri fattori di rischio, né fortunatamente da importanti fattori protettivi, come:
- Caffè: ~ -34%, se tutti ne bevessero come chi negli studi è classificato come maggior bevitore (inoltre l’effetto-dose è stato stimato a ~ -25% per tazza - Bravi F et al (Ist. Mario Negri, Milano). Hepatology 2007;46:430 - metanalisi studi di coorte). Tale protezione vale anche per altre epatopatie in vari stadi di gravità (Saab S et al. Liver Int 2014;34:495. - revisione sistematica // Liu F et al. PLOS One 2015;10:1 - metanalisi)
- Fibra alimentare: - 31% se tutti ne consumassero come il quarto della popolazione che ne consuma di più, con -30% di rischio per ogni 10 g di fibra al dì consumati (Fedirko V et al. Ann Oncol 2013;24:553, EPIC)
- Pesce: -24% se tutti ne consumassero come il quarto della popolazione che ne consuma di più. Ogni 20 g/die in più di pesce si associano a riduzione del 20% del rischio di epatocarcinoma; un -14% si osserva anche con la sostituzione di 20 g di pesce a 20 g di carne al dì. I risultati sono simili anche negli infetti con HBV o HCV (Fedirko V et al.
Ann Oncol. 2013;24:2166, EPIC)
- Attività fisica: -19/-27% (revisione di Moore SC et al. Jama Intern Med online 16 maggio 2016).
Anche in questo caso potremmo proseguire a lungo, ma ci fermiamo, perché la somma già supera il 100%... Ciò ovviamente non significa che l’adozione di questi comportamenti protettivi e l’evitamento di quelli a rischio azzeri le possibilità evolutive in tutti gli infetti da HCV, ma certo queste si riducono in maniera sostanziale.
4) Quanto allo
screening degli asintomatici, restiamo ai fatti per l’Italia:
- con le risorse attuali il SSN ha assicurato le cure a 46.000 pazienti, cioè ~40.000 pazienti/anno, e potrebbe in ~4 anni trattare tutti i 160-180.000 casi stimati da EpaC (tra cui si concentrano quasi tutti i casi gravi)
- uno screening di popolazione potrebbe far emergere la parte sommersa dell’iceberg, secondo EpaC ~10 volte più numerosa, di soggetti in prevalenza asintomatici, molti destinati però a restare tali nel resto della loro vita
- una volta consapevoli di essere portatori di HCV e allarmati da informazioni non bilanciate sulla storia naturale dell’infezione e sul peso relativo di comportamenti protettivi o dannosi, molti rivendicherebbero il diritto di accesso ai “farmaci innovativi”, aggiungendo la loro pressione a quella dei pazienti oggi noti, e non è chiaro come il SSN potrebbe oggi farvi fronte. Se lo facesse nei confronti di questi nuovi casi (ai prezzi attuali dei farmaci) stornerebbe ingenti risorse finanziarie da altri programmi, di rendimento verosimilmente maggiore per la salute. Se non lo facesse vedrebbe crescere la frustrazione dei “nuovi casi”, le tensioni e la disaffezione nei confronti di un SSN che a parole tutti dicono di voler difendere… Ci sarebbe anche la possibilità teorica di imporre ai produttori prezzi di rimborso molto inferiori; ma ammesso che i Governi siano in grado di farlo, l’ordine logico dovrebbe essere: prima si ottiene di pagare prezzi sostenibili, poi si considera lo screening, non viceversa (anche a prescindere da altre considerazioni, comprese quelle che seguono)
- per non parlare dei rischi (piccoli o grandi, vedi il punto seguente) cui si esporrebbero molti portatori senza certezza di avere davvero bisogno di tali farmaci.
Ci piacerebbe ragionare su questi (o altri) elementi, senza usare argomenti con presa emotiva ma che non fanno fare passi avanti (tipo: “Ci vorreste dire che l’OMS non ha capito nulla, che le Agenzie Regolatorie, che centinaia di migliaia di epatologi, gastroenterologi e infettivologi di tutto il mondo… Siamo tutti impazziti? Corrotti?”). Non cerchiamo lo scontro, ma crediamo di avere il diritto di mettere in discussione l’utilità di uno screening con argomenti scientifici e razionali, aspettandoci di ricevere risposte dello stesso tenore. In effetti una delle conquiste della medicina basata sulle prove di efficacia (EBM) è di non chinare il capo solo in funzione dell’autorevolezza degli interlocutori (l’Ipse dixit…), ma di accettare la forza delle prove che sorreggono le affermazioni di qualunque fonte, dopo averle verificate. Di fronte a prove valide (che siamo interessati a conoscere), non avremmo problemi ad allinearci.
5) Anche sulla sicurezza a lungo termine di queste “
terapie innovative” vanno inseriti elementi di cautela (Koretz RL et al. BMJ 2015;350:g7809). Proprio perché molti di noi si occupano professionalmente da lustri di valutazione di interventi e tecnologie sanitarie, troppe volte abbiamo assistito a clamorose sconfessioni di “molecole innovative” che non hanno mantenuto le promesse, anche per problemi di sicurezza a lungo termine.
Nello specifico dei farmaci antivirali, preoccupa una presentazione all’International Liver Congress 2016, l’abstract di Wong GL-H et al. J Hepatol 2016;64:S163 relativo a una ricerca in Hong Kong su 45.300 pazienti con epatite B cronica. Nei trattati con analoghi dei nucleos(t)idi (lamivudina ed entecavir, per alcuni tenofovir), rispetto al gruppo dei non trattati pesati con propensity score, l’insieme di tutti i tumori maligni non si è ridotto (aHR 1,01). In particolare il carcinoma epatocellulare ha teso a diminuire, l’insieme di tutti gli altri tumori ha teso ad aumentare (aHR 1,17; IC 95% 0,93-1,47), e i tumori colorettali (aHR 2,17; 1,08-4,36) e cervicali (aHR 4,41; 1,01-19,34) sono aumentati in modo significativo. Ciò che più preoccupa è che i risultati sulla mortalità totale (comunicazione personale, allegata, a seguito di quesito) sono stati: 5,1% di morti tra i trattati, 3,3% tra i non trattati, con un RR di 1,55, altamente significativo, con un Number Needed to Harm/NNH di 55. Ciò non tranquillizza sulla sicurezza a lungo termine di alcune “terapie innovative”, ancorché diverse da quelle proposte per l’HCV. Si è consapevoli del fatto che i virus sono diversi, che le probabilità di eradicazione dell’HCV con terapie di 12 settimane (forse presto di 8) siano molto buone, e non così per l’HBV. Ma ci dovrebbe ricordare che i rischi dei trattamenti (compresi rischi a lungo termine, spesso ancora ignoti) possono essere meno giustificati se estesi a pazienti in condizioni meno serie, nei quali il bilancio tra rischi e benefici attesi e di costi-opportunità va ponderato con molta attenzione.
6) Quando il Presidente EpaC chiede “con quale diritto e arroganza ci venite a chiedere di “aspettare”?”, rispondiamo senza animosità:
- in base al principio di precauzione, per coloro che si trovano in condizione non evolutiva verso F3 o cirrosi, in particolare se asintomatici (con alcune ragionevoli eccezioni), in attesa che sia chiaro anche per loro dove si situa il miglior bilanciamento tra rischi e benefici attesi
- in base al principio di solidarietà nei confronti di tanti altri assistiti che oggi non ricevono cure efficaci e possibili, perché le risorse che la Società ha assegnato al SSN non lo consentono
[ facciamo un esempio tra cento, che interessa anche tanti infetti con HCV.
Il fumo è oggi responsabile del 25% circa degli epatocarcinomi, oltre che di un gran numero di malattie con nesso causale stabilito: 12 tipi di cancro, 6 categorie di malattie cardiovascolari, diabete, BPCO, polmonite e influenza; e inoltre si associa a un eccesso di mortalità da insufficienza renale, malattia cardiaca ipertensiva, infezioni e tumore prostatico e mammario – Carter BD et al. New Engl J Med 2015;372:631, su quasi un milione di anziani USA con 12 anni di follow-up. Smettere di fumare ha un effetto sulla mortalità totale maggiore di quello da complicanze dell’HCV, anche nell’insieme dei soggetti cronicamente infetti e fumatori. Purtroppo però chi voglia intraprendere un percorso di cessazione (un’indagine Doxa ha appena confermato che molti vorrebbero farlo) spesso non può contare su un supporto competente di facile accesso, e deve pagarsi i farmaci di provata efficacia: TSN, vareniclina, bupropione… ].
- in base al principio di tutela della sostenibilità del nostro SSN che, da quando è stato istituito, sta oggi correndo i rischi più gravi di deriva privatistico-assicurativa, dato che potenti forze economiche fanno credere che questa sarebbe la soluzione per l’accesso a prestazioni diagnostiche e terapeutiche oggi razionate in tanti campi.
7) Ci si chiede:
- di occuparci piuttosto dell’uso irrazionale “di tutti gli altri farmaci”: ma è esattamente quello che facciamo da tanti anni, e comunque da quando è nata la nostra Fondazione (v.
www.allinearesanitaesalute.org)
- di non strumentalizzare l’HCV “per fare carriere”: ma le nostre “carriere” le abbiamo già fatte nella Sanità pubblica o nella Medicina Generale, molti di noi sono già in pensione o vi sono prossimi. Proprio per questo non abbiamo nulla da guadagnare, ma pure poco da perdere, nell’assumere posizioni anche “scomode”, se dettate da convincimenti etici e scientifici. Dato che queste sono le nostre motivazioni, non siamo sensibili a intimidazioni, ma lo siamo molto ad argomenti scientifici e di salute della comunità: dunque ben vengano discussioni su questo terreno, non abbiamo posizioni pregiudiziali da difendere. Siamo inoltre convinti che il punto di vista di generalisti di Sanità Pubblica sia utile per ampliare l’orizzonte di specialisti delle discipline implicate e pazienti, in genere rispettivamente focalizzati sul loro specifico ambito disciplinare e sulle ben comprensibili preoccupazioni per la loro specifica condizione.
- di “organizzare convegni sul conflitto di interessi, cui EpaC sarà ben lieta di partecipare e dire la sua”.
A testimonianza della nostra disponibilità a un dialogo costruttivo, lo faremo, dopo che EpaC ci avrà dato spazio per una relazione negli eventi che organizza.
Alberto Donzelli, Alberto Nova, Luisa Ronchi, Alberto Aronica, Franco Berrino, Antonio Bonaldi, Gianfranco Domenighetti, Giuseppe Fattori, Paolo Longoni, Giulio Mariani, Luca Mascitelli, Alessandro Nobili, Gianfranco Porcile.
Consiglio Direttivo e il Comitato Scientifico della Fondazione Allineare Sanità e Salute
Vittorio Caimi
Presidente CSERMeG (Centro Studi e Ricerche in Medicina Generale)
Ernesto Mola
Presidente WONCA Italia (Coordinamento Italiano delle Società Scientifiche aderenti a WONCA)
* il rischio da carne rossa, benché statisticamente non significativo, è citato perché la carne concorre indirettamente al rischio di epatocarcinoma, per l’aumento del rischio di diabete e il paradossale aumento del sovrappeso nel medio-lungo termine, di cui ci sono forti prove ma scarsa consapevolezza. Vi torneremo in altra occasione.
30 maggio 2016
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