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Fino a quando durerà la resilienza delle giovani donne medico?

di Antonia Carlino (Cisl Medici)

29 FEB - Gentile Direttore,
il presidente Oliveti, dall'editoriale dell'ultimo numero del giornale dell'Enpam, ci informa che per le colleghe con lavoro parasubordinato come le specialiste ambulatoriali o per chi ha contratti a partita IVA, è stata respinta dai ministeri  vigilanti (M. del Lavoro e M. dell’Economia) la possibilità di accedere alle tutele per le gravidanze a rischio, nell'ambito di più larghe proposte ENPAM per la genitorialità, questo proprio dopo che il Jobs Act ha esteso a  tutte le donne lavoratrici le tutele previste per le dipendenti, tranne, recita ancora il Jobs Act, che alle lavoratrici parasubordinate che danno prestazioni intellettuali, come le donne medico, rimandandone la soluzione alle rispettive casse di previdenza.
 
Ci inquieta la rassegnata accettazione che traspare dalle parole di Oliveti alle risposte ministeriali. 
L'apprendere questa notizia ha coinciso con la lettura delle narrazioni, via via sempre più numerose da parte di giovani colleghe, pubblicate su giornali dedicati alla sanità in questo primo bimestre del 2016.
 
Narrazioni  di tristi destini, di vite precarie, di divari di genere anche previdenziali,
insieme a cartoline di auguri per l'8 marzo , come quella appena ricevuta da parte di una nostra collega di Frosinone L.B. intitolata “Medici senza Diritti” che le propongo:
Negli anni Ottanta, quando ero una giovane studentessa di medicina, mi colpì molto un articolo di un quotidiano il cui titolo era “Nel 2020 il medico sarà donna”. In quel periodo la percentuale dei medici di sesso femminile era dell’ 11% ma, da mie personali constatazioni non riscontrai eccessiva disparità tra il numero di studentesse e quello degli studenti.
Negli anni successivi la rappresentanza aumentò sia per la maggior tenacia nello studio delle studentesse sia a causa della leva ancora obbligatoria che costringeva i ragazzi non in regola con gli esami a svolgere il servizio militare durante il periodo universitario, causando a volte l’abbandono degli studi (in quel caso ritenevo che i maschi non avessero le stesse opportunità delle femmine).
 
Attualmente le donne rappresentano il 40% del totale dei medici negli ospedali pubblici ma la percentuale sale al 62-63% nella fascia di età 25-39 anni. Tuttavia, le pari opportunità per alcune giovani colleghe appaiono ancora molto lontane e difficilmente raggiungibili.
 
Le donne medico sotto i 40 anni sono spesso precarie, impegnate nei cosiddetti servizi “difficili” come Pronto Soccorso, 118, SERT, Carcere. A volte la loro precarietà risulta invisibile in quanto svolgono solo saltuariamente prestazioni orarie o fanno capo ad organizzazioni private, lavorando con contratti a prestazione nelle strutture pubbliche.
Che dire delle tipologie di lavoro maggiormente utilizzate in ambito sanitario, come le collaborazioni a progetto o i contratti a partita IVA, dove non sono contemplati i diritti fondamentali del lavoratore sanciti dallo Statuto dei lavoratori del 1970? Per queste lavoratrici non è prevista neanche la tutela della maternità secondo quanto previsto dal D. Lgs. 151/2001.
 
Quindi per queste colleghe nessun diritto: né maternità, né malattia figlio, né ferie, né contributi pensionistici dignitosi. Si trovano ad essere stritolate nei loro contratti libero-professionali e, di conseguenza, sottopagate, senza alcuna anzianità di servizio, senza possibilità di carriera, sempre con la “spada di Damocle” della risoluzione del contratto.
Pertanto, a tutti i medici donna, senza (o con pochi) diritti, che con dignità e professionalità vivono in silenzio le loro umiliazioni fingendosi forti, alle studentesse di medicina che cercano di realizzare il sogno di svolgere questa stupenda professione, in attesa di una contrattazione di genere specifica ma non senza un po’ di imbarazzo per i miei 23 anni di contratto a tempo indeterminato, desidero augurare con tanto affetto e solidarietà una buona Festa della Donna!”.
 
Queste note amare che da più parti e in maniera, sempre più consapevolmente vengono espresse dalle giovani colleghe, non ci possono lasciare indifferenti oppure rassegnati.
E' una reazione che non ci appartiene per scelta e formazione. L'argomento è troppo pregnante e giustamente  pretende da parte delle istituzioni una risposta chiara, pertinente ma soprattutto positiva.
 
L'indignazione di fronte  a tale ingiusta e cronica disparità è pari  a quella generata dal riscontro , ancora purtroppo reale, di subdole forme di demansionamento e segregazione orizzontale, soprattutto, al rientro al lavoro dopo il parto o dopo un congedo di cura. 
In quegli ambienti sanitari ove inefficienze  e disordine organizzativo convivono, continuano a sopravvivere in contiguità,” aree di gestione del consenso politico e aree di gestione del merito “che si esprime in quel nepotismo-clientelismo, che proprio sul suo giornale, la scorsa settimana con il neologismo cronysm il collega Stefano Palazzi indicava così frequente nel mondo della sanità italiana. 
Nepotismo-clientelismo che ha stritolato le speranze della giovane chirurga Luana Ricca, sottoposta a demansionamento in Italia, dopo un percorso professionale talentuoso in Francia.
 
Pertanto, da una parte è forte l'invito al presidente Oliveti, affinché la saggezza non si trasformi in rassegnazione, ed è  un invito ad adoperarsi perché questa risposta negativa istituzionale alla domanda urgente di tutele non sia definitiva, per un rispetto dovuto alle donne medico in un momento di così acuta denatalità.
 
D'altra parte, altrettanto forte è l'invito rivolto a tutte le giovani colleghe, oggetto di discriminazione sul luogo del lavoro, o alle prese con mobbing o con lo stress lavoro correlato, a coinvolgere nel proprio luogo di lavoro, i Comitati Unici di garanzia (CUG), organismi nella la cui mission istituzionale il legislatore ha previsto proprio la pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e il Contrasto alle discriminazioni.
 
I CUG sono organi paritetici introdotti con Legge n. 183/2010 che se ben utilizzati si rivelano preziosi alleati che insieme al sindacato  possono incidere per indicare soluzioni alle problematiche del " clima" lavorativo. L'intermediazione tra contrattazione territoriale e amministrazioni periferiche può' superare cause e fattori di rischio di un lavoro malato.
 
Dare dignità al lavoro delle donne medico, riconoscendone i diritti, è  una sfida culturale e sociale, così come  battersi per una società dove, come dice Papa Francesco, la maternità della donna sia considerata una opportunità e una crescita per la società.
 
Questo è l’augurio più sincero e appassionato per una festa della donna che non sia solo simbolica, ma densa di impegni  concreti per tradurre in realtà  tutele e diritti fino ad oggi negati, perché per le donne medico benessere nei posti di lavoro, conciliazione e pari opportunità coincidano.
 
Antonia Carlino
Responsabile Dipartimento Cisl Medici delle politiche di genere, di welfare e giovanili

29 febbraio 2016
© Riproduzione riservata

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