Adozioni gay e conciliazione tempi lavoro. Che fare?
di M.L.Genna e D.Crea
07 FEB -
Gentile Direttore,
da giorni il tema delle adozioni da parte delle famiglie composte da persone dello stesso sesso tiene banco su giornali e riviste ed è ancor più aspro il dibattito, in Parlamento, sulle nuove regole da applicare.
Nonostante nel 2016 si parli di trasformazione del concetto di famiglia, con un aumento di famiglie mono-genitoriali composta da donne, o da donne che vivono da sole rappresentanti di fatto il capofamiglia, nel nostro Paese vige ancora intatta una visione piuttosto arcaica della famiglia, in cui i ruoli appaiano sempre ben definiti anche in senso religioso, come più volte affermato da papa Francesco.
Circa 10 milioni di donne, pari al 44.1% del totale, fanno rinunce sul lavoro. “Questo gran numero di donne- spiega l'istituto italiano di statistica (ISTAT) - nel corso della loro vita, a causa di impegni familiari, per una gravidanza o perché i propri familiari così volevano, hanno rinunciato a lavorare, hanno dovuto interrompere il lavoro, non hanno potuto accettare un incarico o non hanno potuto investire come avrebbero voluto nel lavoro.”
L'Istat, inoltre, riporta che nel 2012 una madre su quattro dopo la gravidanza non lavora più. E questo nonostante le leggi sulla conciliazione vigenti sul territorio italiano siano in costante moltiplicazione con un movimento di emancipazione ben presente da anni sul tema.
In Italia circa un milione di individui si è dichiarato omosessuale - secondo i dati dello stesso Istituto del 2012 - dai quali emerge ancora una volta la presenza di notevoli discriminazioni sul lavoro- e non solo - con differenti manifestazioni a seconda se ci si trovi in una regione del nord o nel meridione d’Italia.
Ed allora, in questa realtà, ci chiediamo come poter affrontare, ammesso sia concessa la possibilità dell'adozione, il problema della conciliazione lavoro e cura familiare. Un bambino che cresce in una famiglia arcobaleno potrebbe trovarsi comunque due genitori che si trovano ad affrontare situazioni svantaggiose nel lavoro di cura e di assistenza.
A chi dei coniugi spetterà, ad esempio, la possibilità di usufruire di quella che da anni è stata definita "legge madre"? Chi dei due sarà considerata madre, non potendo ovviamente esserlo entrambi? E in caso di malattia del bambino, a chi dei due genitori dello stesso sesso sarà data la possibilità di poter dare assistenza?
Ovvero, portando ad esempio l’articolo 4, comma 24, lettera a) della legge 28 giugno 2012 n.92, che istituisce un congedo obbligatorio (un giorno) e un congedo facoltativo, alternativo al congedo di maternità della madre (due giorni), fruibili dal padre, lavoratore dipendente, anche adottivo e affidatario, entro e non oltre il quinto mese di vita del figlio, a chi questo diritto sarà calcolato e reso fruibile, essendo i due genitori dello stesso sesso?
Il benessere psicofisico di un figlio deve essere alla base di tutte le norme che lo stato tenterà di applicare e temiamo che, dovendo affrontare tematiche di particolare difficoltà, come le tutele previdenziali ed assistenziali, tale principio possa esser messo da parte o solo parzialmente protetto. La conciliazione lavoro-famiglia appare nel terzo millennio difficile per tutti e vanno aumentati gli sforzi per evitare che le situazioni sfavorevoli - presenti da anni sulle famiglie tradizionali - possano estendersi anche alle nuove forme riconosciute di famiglia.
Dott.ssa Maria Ludovica Genna
Dott. Domenico Crea
Osservatorio Sanitario di Napoli
07 febbraio 2016
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