Test trombofilia a tutte le donne in gravidanza? Assolutamente no
di Domenico Prisco
Meglio lavorare sulla lotta al fumo, riduzione e prevenzione del sovrappeso, prevenzione e cura del diabete, storia clinica personale e familiare per identificare, ed eventualmente trattare, persone a maggior rischio di complicanze. Evitiamo costose scorciatoie la cui efficacia non è stata dimostrata
08 GEN -
Gentile Direttore,
il concentrarsi in pochi giorni di ben cinque casi di morte di giovani donne e del loro figlio ha suscitato dolore e commozione nel nostro paese. Anche se, come ben precisato sul
Quotidiano Sanità da Riccardo Tartaglia, è ragionevole trattarsi di eventi isolati (solo per caso concentratisi in una settimana e per questo assurti alla cronaca nazionale), è doveroso esaminare a fondo le procedure per verificare se qualcosa non abbia funzionato e debba quindi essere oggetto di revisione e valutare eventuali responsabilità penalmente rilevanti. Su questo aspetto non mi dilungo perché mi riconosco completamente nelle affermazioni fatte in questi giorni dal Ministro della Salute (uno dei migliori, a mio avviso, che la Repubblica abbia avuto negli ultimi decenni).
Anche se in Italia i tassi di mortalità in gravidanza sono relativamente bassi, tutti gli sforzi devono esser fatti per ridurli ulteriormente e su questo è degna di considerazione la presa di posizione delle Società Scientifiche di Ostetricia e Ginecologia italiane.
Vorrei invece manifestare il mio disagio (per usare un eufemismo) per
l’intervista apparsa su un noto quotidiano nazionale riguardante i test per trombofilia che ha contenuti non solo in parte inesatti ma assai pericolosi per i messaggi diretti o indiretti che potrebbero veicolare al grande pubblico.
In sintesi:
- la trombofilia, cioè la tendenza ereditaria o acquisita di un individuo ad essere maggiormente suscettibile a manifestazioni trombotiche e a certe complicanze della gravidanza, spiega solo una quota minore degli eventi avversi ostetrici;
- la stessa, in ogni caso, non è mai agente causale ma fattore di rischio, dunque non determina di per sé la malattia ma la rende solo più probabile:
- se poi parliamo di eventi relativamente rari bisogna ricordare che aumentare anche di 10 volte la probabilità di un evento raro, non lo rende frequente ma solo meno raro;
- avere notizie su certi profili genetici può avere scarsa rilevanza nella gestione del singolo individuo.
E poi, ammesso che tale profilo sia disponibile, spesso non sappiamo cosa fare. Non possiamo pensare di dare a tutti i soggetti con un generico lieve aumento del rischio di trombosi l’aspirina o l’eparina perché non esistono, se non in casi molto particolari, studi che dimostrino in maniera conclusiva la loro efficacia mentre, d’altra parte, si tratta di farmaci con effetti collaterali potenzialmente anche gravi. E, come sempre in Medicina, va fatto il rapporto rischio-beneficio di fronte ad ogni scelta terapeutica nel singolo paziente.
La Regione Toscana, fra le prime ad aver affrontato il problema dell’appropriatezza, già nel 2007 ha approvato una delibera sull’uso dei test genetici e nel caso della trombofilia ha approvato per uso clinico soltanto la valutazione di due polimorfismi genetici (FV G1691A e FII G20210A) identificando i pazienti in cui avesse un senso ricercarli. Possiamo discutere su quali siano questi pazienti e se i criteri di selezione possano essere rivisti ma certamente anche i due test indicati non sono da effettuare in tutte le donne.
Ma un altro aspetto da sottolineare è che in qualche modo nell’intervista si attacca il recente Decreto Ministeriale sull’appropriatezza, che sarà anche imperfetto, come tutte le cose umane, ma è strumento indispensabile per limitare gli sprechi nella diagnostica. Ai miei studenti insegno sempre di non richiedere un esame di laboratorio o strumentale se non so a cosa mi servirà e se so che i suoi risultati, normali o alterati che siano, non modificheranno la condotta sul mio paziente. Devo dire che sulla trombofilia il recente Decreto dà indirizzi scientificamente corretti e in linea con la sopra citata Delibera della Regione Toscana.
In conclusione, l’impegno deve essere quello di seguire la gravidanza in maniera clinicamente corretta. Lavoriamo di più sulla cessazione del fumo, sulla riduzione e prevenzione del sovrappeso, sulla prevenzione e cura del diabete, sulla storia clinica personale e familiare per identificare, ed eventualmente trattare, persone a maggior rischio di complicanze. Seguiamo le donne con umanità e professionalità. Non potremo evitare del tutto le tragedie come quelle di questi giorni ma le potremo rendere sempre più rare. Evitiamo costose scorciatoie la cui efficacia non è stata dimostrata e che possono essere fonte di business sulle spalle della Società e dei singoli pazienti.
Domenico Prisco
Ordinario di Medicina Interna e Presidente del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, Università di Firenze, Azienda Ospedaliero-universitaria Careggi, Firenze
Membro del Comitato Tecnico-scientifico della Gestione Rischio Clinico della Regione Toscana
Già Presidente della Società Italiana per lo Studio dell’Emostasi e della Trombosi
08 gennaio 2016
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