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L’allarme vaccini e la pertosse. Bene vaccinare le mamme in gravidanza

di Antonio Cassone

08 OTT - Gentile direttore,
è giusta la preoccupazione per la diminuzione della copertura vaccinale segnalata dalle autorità sanitarie e giustamente riportate da vari giornali, incluso Quotidiano Sanità. Importante il richiamo ad una corretta informazione da fornire al cittadino e, se mi è consentito, anche ad alcuni colleghi medici, per mantenere alta detta copertura, onde evitare il rischio di ritorno di malattie considerate debellate o sotto controllo, come la storia delle malattie infettive insegna.  Informare e promuovere attivamente la pratica vaccinale per evitare cadute di copertura è quindi un dovere che tutti i protagonisti  della sanità del Paese devono sentire come primario.
 
Succede però, talvolta, che il vaccino ci metta del suo, e che al  ritorno in grande stile di alcune malattie contribuiscano imprevisti deficit immunologici  del vaccino stesso.  Questo sembra essere il caso della pertosse, di cui si sono verificate negli ultimi anni varie epidemie in diversi Paesi pur in presenza di elevate   coperture vaccinali. In queste epidemie, oltre ad un alto tasso di incidenza della malattia, si è anche verificato, sia pure infrequentemente,  il decesso di alcuni neonati, spesso  infettati   dai genitori.
 
La causa  sembra essere stata  la sostituzione, avvenuta nei primi anni’90 dello scorso secolo, del vecchio vaccino pertossico, costituito da cellule intere inattivate , efficace ma non più accettato per i veri o presunti seri effetti collaterali, con i nuovi vaccini antipertosse acellulari,costituito da misture di antigeni purificati,  molto sicuri e molto accettati dalla popolazione.
 
Questi nuovi vaccini   hanno dimostrato una tendenza a perdere la capacità protettiva in un  tempo piuttosto breve, e soprattutto si sono rivelati incapace di indurre negli individui vaccinati   una immunità in grado di contrastare la trasmissione del microrganismo agente della malattia,  il batterio Bordetella pertussis  una proprietà  la cui  importanza per la protezione dalla comunità è ovvia. Il risultato è stato una buona protezione dei bambini vaccinati ed una progressiva perdita di capacità protettiva  dall’età scolare fino  ad azzerarsi negli  adolescenti e negli adulti, i quali ultimi sono attualmente la fascia di maggiore incidenza della malattia,  nei quali essa  è meno aggressiva e quasi sempre neppure diagnosticata, ma altamente contagiosa.
 
Sono quindi i vaccini antipertosse acellulari “sbagliati” e perché  la  loro difficoltà a conferire una persistente protezione non si è “subito” vista e corretta?  No, i vaccini non sono affatto sbagliati   sono sicuri ed efficaci ma, come per tutti farmaci, anche per i vaccini alcune verità si scoprono solo dopo un  lungo  impiego nelle popolazioni, non certo dopo le sperimentazioni, sia pure molto accurate, necessarie per approvarne l’uso e sulla cui base viene proposta la scheda vaccinale.
 
Visto che si tratta comunque un buon vaccino, e vista l’impossibilità di costruirne e validarne  in poco tempo uno migliore, cosa fare per proteggerci dalla pertosse?  Molti sostengono la necessità di irrobustire  la scheda vaccinale prevedendo dei richiami  nell’età scolastica , adolescenziale e negli adulti stessi. Buona cosa, certo, ma di riconosciuta difficile applicabilità. Quanti di noi adulti fanno il richiamo della vaccinazione antitetanica ogni dieci anni, come previsto?  
 
Inoltre, non  è chiaro se, nel caso dei vaccini antipertosse acellulari, ripetuti richiami riescano davvero ad alzare il livello della protezione e renderla più duratura. Quello che può essere davvero utile è focalizzarsi sul punto più  critico, e cioè  proteggere il neonato nei primissimi mesi di vita, prima che la vaccinazione (almeno le prime due dosi) abbia il suo effetto, quando peraltro la malattia è davvero  temibile  e, come detto, mette a gran rischio la vita stessa  del neonato.
 
Per fare ciò, bisogna vaccinare la madre in gravidanza. Essa trasmetterà i giusti anticorpi anti pertosse  attraverso la via transplacentare e con l’allattamento, il bambino ne risulterà protetto quando è davvero indispensabile. Non è originale, in alcuni paesi (Regno Unito)  è già fatto ed in altri paesi (US) è molto caldeggiata dalle Autorità sanitarie. Per alcuni, serve ulteriore sperimentazione? La si faccia presto.
 
Prof. Antonio Cassone
Membro dell’Accademia Americana di Microbiologia, Visiting Professor, Imperial College, London, UK.
Già Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate dell’ISS e Professore Straordinario di Microbiologia nell’Università di Perugia.

08 ottobre 2015
© Riproduzione riservata

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