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Se una donna medico guadagna il 30% in meno del collega maschio

di M.L. Genna e D. Crea

A parità di ruolo, una donna medico guadagna in media il 30% in meno rispetto a un collega maschio. E al fenomeno della ”femminilizzazione”, cioè l’aumento del numero delle donne medico, non fa riscontro un aumento della presenza delle stesse  nelle posizioni di vertice

26 GIU - Gentile direttore,
Marina Sereni, vicepresidente della Camera dei Deputati, in occasione della presentazione del Rapporto ISTAT 2015, sulla situazione italiana, ha dichiarato: “La disparità retributiva tra uomo e donna rappresenta un fenomeno complesso, imputabile a una serie di fattori interconnessi e che riflette ampie disparità di genere ancora oggi presenti nell’economia e nella società. Sotto questo profilo, il Rapporto ISTAT 2015 evidenzia come la già rilevante divergenza tra i premi retributivi medi di uomini e donne si vada ad accentuare per le posizioni di vertice. Si conferma così l’esistenza del glass-ceiling, ovvero del cosiddetto ‘soffitto di cristallo’, secondo l’efficace metafora utilizzata per indicare quella barriera invisibile che le donne che aspirano ad occupare posizioni di responsabilità incontrano nei luoghi di lavoro”.

Il divario retributivo di genere o gender pay gap è la differenza salariale esistente tra uomini e donne, calcolato basandosi sulla differenza del salario medio lordo. Nell’Unione Europea le donne guadagnano circa il 16% in meno degli uomini, svolgono maggiormente lavori part-time, presentando un divario retributivo costante che incide sul loro reddito lungo tutto l’arco della vita, risultando ancor più esposte al rischio povertà in vecchiaia, anche per la ridotta possibilità di accantonamento di quote previdenziali.

Nell’aprile 2015 negli Usa è stata celebrata la giornata per la parità di retribuzione tra generi - l’ Equal Pay Day - e si è evidenziato che le donne lavoratrici guadagnano ancora il 78% del salario maschile, cioè incassano 78 centesimi di dollaro per ogni dollaro guadagnato da un uomo. Dai dati del Global Gender Gap l’Italia, che nel 2013 era ben 97^ su 136 Paesi, risulta ancor più scivolata nel 2014, perdendo altre ben 17 posizioni ed attestandosi tra le nazioni del mondo con la minor attenzione al divario retributivo.

Purtroppo, le donne medico non sfuggono a tale gender gap - se si considerano i dati pubblicati dall’Enpam nel 2010 - che mostrano come, a parità di ruolo, una donna medico guadagni in media il 30% in meno rispetto ad un suo collega maschio. Le professioniste nella classe di età 60-69 anni presentano in media circa 40 mila euro rispetto ai 57 mila notificati dai loro colleghi dell’altro sesso. I dati relativi alle classi di età più giovani tendono a confermare la disparità retributiva di genere all’interno del SSN. Nella fascia d’età 20-29 anni i medici uomini che svolgono libera professione denunciano circa 18 mila euro l’anno contro i 14 delle donne, mentre tra 30-39 anni i maschi guadagnano 36 mila euro contro i 28 delle femmine. Rilevante, poi, la differenza che emerge analizzando le rendite dei medici dai 40 ai 49 anni. Mentre gli uomini dichiarano redditi per circa 55 mila euro, le donne non superano i 40 mila l’anno, mentre si delinea in questi anni il fenomeno della ”femminilizzazione” con l’aumento del numero delle donne medico a cui non fa riscontro un aumento della presenza delle stesse nelle posizioni di vertice.

Il gender gap delle donne medico può in parte spiegarsi perché esse devono costantemente cimentarsi con carenza di modalità di flessibilità nell’organizzazione del lavoro e quindi con le ridotte possibilità di bilanciare il lavoro e le responsabilità familiari, rimanendo il più delle volte ingabbiate in quel ”soffitto di cristallo”, nel proprio percorso professionale sanitario.

Tra le priorità delle strategie della Commissione Europea per la Parità tra Uomini e Donne 2010- 2015 vi è quella di promuovere la parità di retribuzione per lavoro di pari valore nell’UE. L'Unione Europea ritiene, inoltre, che per il raggiungimento di tale obiettivo siano necessarie numerose iniziative di vario livello, tra le quali la promozione di campagne informative e di sensibilizzazione rivolte a tutti gli stakeholders presenti nel mercato del lavoro (datori, lavoratrici/lavoratori, organizzazioni sindacali, associazioni, ecc).
 
Secondo la direttiva” Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche” emanata, in data 27 maggio 2007, dai Ministri pro tempore per le Riforme e le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione e per i Diritti e le Pari Opportunità”, la cultura organizzativa delle amministrazioni deve essere orientata alla valorizzazione del contributo di donne e uomini. Il rispetto e la valorizzazione delle diversità sono un fattore di qualità sia nelle relazioni con i cittadini e le cittadine (front office), sia nelle modalità lavorative e nelle relazioni interne all’amministrazione (back office). Occorre, pertanto, che le culture organizzative superino gli stereotipi (la “neutralità” non sempre è sinonimo di equità) e adottino modelli organizzativi che rispettino e valorizzino le donne e gli uomini.
Quanto di tutto ciò è stato fatto e concretamente realizzato per il personale del comparto sanità?
Con quali risultati?

Va detto, inoltre, secondo quanto riportato dall’indagine del Confederazione Europea dei Sindacati del 2014, che la trasparenza salariale è essenziale per consentire ai sindacati di individuare la presenza di un divario retributivo di genere e di influenzare il contenuto e la portata delle trattative salariali e dei contratti collettivi. La difficoltà ad ottenere dati disaggregati per genere e la mancanza di trasparenza salariale costituiscono due ostacoli significativi al superamento dell’asimmetria retributiva tra uomini e donne e per poter influenzare il contenuto e la portata delle trattative salariali e dei contratti collettivi.

L’equilibrio di genere nelle delegazioni trattanti, inoltre, è fattore di fondamentale importanza per modificare il pensiero sindacale sulla parità di genere, perché consente di integrare con nuove prospettive l’agenda negoziale, arricchendo e promuovendo nuovi approcci nella contrattazione con un cambiamento culturale e di azione, grazie alle dirette esperienze e alle specifiche conoscenze delle negoziatrici donne.

Dott.ssa Maria Ludovica Genna
Dott. Domenico Crea

Osservatorio Sanitario di Napoli


26 giugno 2015
© Riproduzione riservata

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