Rischio cardiovascolare e renale. Il ruolo che potrebbe svolgere l'infermiere di famiglia
di Giancarlo Galbiati
03 GIU -
Gentile Direttore,
un recente studio pubblicato sul
British Medical Journal Open chiamato ARAPACIS (Atrial fibrillation Registry for Ankle-brachial index Prevalence Assessment-Collaborative Italian Study) mette in evidenza come la misurazione della pressione arteriosa della caviglia e del braccio (ABI-Index o anche indice di Winsor) possano aiutare a riconoscere chi è a maggior rischio di danno cardiovascolare e renale e quindi necessita di maggiori monitoraggi dei parametri indicativi della funzionalità renale come ad esempio la creatinemia. Il test è molto semplice in quanto è sufficiente misurare la pressione arteriosa a livello della caviglia, fare il rapporto con quella presa come di consueto al braccio e produrre in questo modo un'indice accurato di rischio cardiovascolare. Chi infatti risulta avere un ABI-Index inferiore a 0.9 ha una probabilità di una volta e mezzo più elevata di avere le arterie "invase" dall'aterosclerosi e soprattutto di andare incontro a un veloce deterioramento della funzionalità dei reni. Un ABI index basso, inferiore a 0.9, indica che la pressione nelle gambe è inferiore rispetto a quella della parte superiore del corpo: ciò significa che c'è un'aterosclerosi diffusa e concentrata agli arti inferiori e questo si associa a un'aterosclerosi consistente anche nel distretto renale. Secondo la
Stanford School of Medicine, questo test è talmente predittivo che dovrebbe essere eseguito per tutti i fumatori over 50, tutti i diabetici della stessa età e in tutti i pazienti che superano i 70 anni.
Ora immaginiamo un sistema sanitario in cui, esattamente come per il MMG, ci sia un Infermiere di Famiglia e di Comunità che, collaborando con il MMG, prenda in carico un numero di 1500-2000 assistiti e contribuisca alla gestione di persone affette da malattie croniche (come il diabete, lo scompenso cardiaco, la broncopneumopatia cronico ostruttiva, l’ipertensione), informi sui fattori di rischio di alcune malattie, imposti programmi di educazione sanitaria ai suoi assistiti e per la comunità (per esempio contro il fumo e l’obesità), assista le famiglie che si prendono cura dei pazienti nella propria abitazione e istruisca i caregivers (cioè coloro che assistono in prima persona l’ammalato) svolgendo da anello di connessione tra l’ospedale e territorio nel momento della dimissione ospedaliera attraverso periodici accessi al domicilio dell’assistito per verificare la sua buona guarigione e dando continui feedback al MMG e all’ospedale. In tutto questo, immaginiamo che l’infermiere riesca a fare semplici rilevazioni, come l’ABI-Index, e riesca in questo modo ad identificare alcune popolazioni di pazienti che potrebbero essere a maggior rischio e che, in collaborazione con il MMG, meritino un maggior monitoraggio.
I risultati di un sistema sanitario improntato alla presa in carico proattiva dei pazienti (prima che la persona manifesti la malattia) sarebbe di notevole impatto in termini di salute e di risparmio economico. Una sanità d’iniziativa così strutturata porterebbe alla diminuzione degli accessi al pronto soccorso perché verrebbero riconosciute precocemente situazioni di scompenso, diminuirebbe il numero di ri-accessi in ospedale post dimissione perché il paziente verrebbe seguito al proprio domicilio dall’infermiere, diminuirebbe i codici bianchi al pronto soccorso perché l’infermiere al domicilio potrebbe svolgere semplici medicazioni, rimuovere punti di sutura, somministrare terapie, rilevare parametri vitali e diminuirebbe il carico di lavoro per il MMG che potrebbe dedicarsi maggiormente alla diagnosi medica e la cura.
In tutto questo inoltre, potrebbe giocare un ruolo fondamentale anche la telemedicina. Immaginiamo un infermiere cha vada al domicilio del proprio assistito ad eseguire un elettrocardiogramma e che possa inviarlo per la sua refertazione al cardiologo in ospedale (come già avviene per l’infermiere presente sulle ambulanze del servizio di Emergenza ed Urgenza per esempio in Puglia o in Lombardia) e che possa consegnare ancora al domicilio del proprio assistito la refertazione nelle 24/48 ore successive l’esecuzione dell'esame. Il paziente non dovrebbe muoversi da casa con un notevole risparmio anche per l’ospedale che diminuirebbe le proprie liste di attesa. Per immaginare tutto questo basta davvero poco. Tuttavia anche la sua realizzazione potrebbe non essere impossibile.
Da diversi anni molte prestigiose università italiane come Pisa, Torino, Pavia e Milano per citarne alcune, dopo la laurea triennale, attraverso master di primo livello, stanno continuamente formando infermieri specializzati in infermieristica di famiglia e di comunità. Questi professionisti hanno competenze avanzate specifiche in merito al continuum assistenziale, compresa la promozione della salute, la prevenzione della malattia, la riabilitazione e l’assistenza infermieristica a tutte le persone della comunità. D’altra parte l’infermiere è la professione che più di altre svolgere storicamente il proprio ruolo in stretta relazione con il paziente e che quindi ha potuto sviluppare una certa predisposizione all’ascolto e al porsi sul suo stesso piano, promuovendo una scambio di idee e di prospettive continuo.
Secondo il ddl per "Il pieno riconoscimento della professione infermieristica come figura di riferimento per lo sviluppo e il potenziamento dei servizi territoriali di assistenza domiciliare al fine di salvaguardare lo stato di salute dei cittadini” presentato dalla senatrice Ivana Simeoni, l’infermiere di Famiglia e di Comunità deve essere "figura di riferimento per lo sviluppo e il potenziamento dei servizi territoriali di assistenza territoriale e domiciliare”.
Personalmente mi auguro di vedere istituita ed implementata il prima possibile su tutto il territorio nazionale questa nuova figura delle Cure Primarie per un miglioramento continuo del nostro SSN in nome della efficacia e dell’efficienza che questo professionista può apportare in primis al cittadino e in secondo luogo al sistema nel suo complesso.
Giancarlo Galbiati
Infermiere
03 giugno 2015
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