L’8 marzo speciale di una specializzanda e futura mamma
di Roberta Agnello
08 MAR -
Gentile Direttore,
le scrivo in un 8 marzo speciale, in mezzo a tante notizie che parlano di donne in Medicina. Ho da poco compiuto 30 anni, sto ristrutturando casa, vedo all'orizzonte il traguardo finale del mio lungo percorso di studi e, soprattutto, ho un compagno meraviglioso con cui ho davvero voglia di condividere la mia vita. "Cosa mi manca?" Mi sono detta... nulla. Non è che manchi, non è la ciliegina sulla torta, è solo qualcosa che bussa da dentro... vorrei tanto un bambino.
Ed eccomi qua, alla 28a settimana di gravidanza, in arrivo Margherita.
Accanto alle splendide emozioni che mi accompagnano lungo questa strada che mi porterà a conoscerla, alla curiosità di sapere come sarà e al timore di non sapere da che parte cominciare, mi trovo a provare sentimenti contrastanti riguardo al mio futuro. Mi chiedo se sia il momento giusto, se siamo stati troppo impulsivi... Tra qualche mese finirò la specializzazione in Ginecologia, e poi? Intorno a me coetanei che "migrano" verso altre regioni o addirittura all'estero per uno straccio di lavoro e so che io, almeno nell'immediato, non potrò farlo.
Rifletto sul fatto che forse non ci sarebbe mai stato un momento giusto, e concludo che abbiamo fatto bene, allontano questi pensieri e mi godo l'attesa.
In effetti è così, in questo momento storico e politico, fatto di pensionati/pensionandi, super senior ancora sulla breccia al nostro posto, e contratti co.co.co., risulta davvero difficile per un giovane professionista, donna per giunta, trovare il suo spazio in questo mondo del lavoro che sembra diventare sempre più chiuso.
E allora non smetto di cercare di capire, di dare sostanza alla mia preparazione, maturata in anni di impegno nell’associazionismo studentesco, vicino ai problemi di questi prima e degli specializzandi poi, in particolare dal mio osservatorio “privilegiato “ di cure al femminile.
Ieri ho avuto l'occasione di tenere una conferenza dal titolo "Donne in Medicina: questione di genere" e di esporre il nostro “stato dell’arte” ad una discreta platea di persone, donne per lo più, di una generazione precedente. Parlare delle scelte delle studentesse sempre più orientate alle professioni di cura, dell’impegno per risultati migliori, per esiti più rapidi del corso di studi. Del disagio di fronte ad un “genere” che non si esprime (ancora) appieno nei templi del saper fare chirurgico quando si tratta di interventi più profondi sul corpo delle donne; di sensibilità, di soddisfazioni fatte “di poco”, magari di fronte a donne pazienti che non capiscono la tua lingua.
L'amara sorpresa è stata quella di constatare certi meccanismi per cui le cose non sono cambiate molto negli ultimi 40 anni. Allora forse le donne osavano meno e non tentavano neppure di intraprendere una carriera da ricercatrice, medico o scienziato, preferendo la professione di insegnante, che non prevedeva scatti di carriera e permetteva di crescere i propri figli senza la paura di essere tagliate fuori.
Ho concluso la mia relazione con fare trionfante, dicendo che ce la possiamo fare a cambiare la testa degli uomini perché siamo donne! Mi è sembrato un successo, al momento, questa capacità trasversale di comunicare con mie simili, in cui oggi in qualche modo risveglio, insieme alla moltitudine delle mie colleghe, desideri incompiuti, ma ancora pieni di speranza.
Ma confesso che dopo la discussione con il pubblico sono tornata a casa con l'amaro in bocca. E tra le mie attese di oggi, penso alla mia piccola e inevitabilmente al futuro. Non vorrei che tra trent’anni le donne come lei si trovassero a guardare indietro ancora alla ricerca di tracce e modelli di cure al femminile. Per questo, come è stato per il mio istinto riproduttivo, credo che forse è ora di uscire allo scoperto.
Roberta Agnello
Specializzanda V anno Ginecologia ed Ostetricia, Università di Genova
08 marzo 2015
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