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Competenze infermieristiche. Andare oltre il taylorismo

di Fabrizio Russo

14 MAG - Gentile direttore,
ho letto con interesse un’intervista rilasciata dal prof. Cavicchi dal titolo “Unità nel cambiamento per il cambiamento” pubblicata sul sito web “infermieristicamente” della Nursind. Cavicchi, rispetto al tema della competenze avanzate e alla richiesta dell’ “intersindacale medica […] di ritirare la firma dall’accordo”, propone una nuova forma di cooperazione tra medici e infermieri, un armistizio che consenta di “esplorare altre possibilità di accordo”, che permetta di “armonizzare atto medico con le competenze avanzate”.

Tale armonizzazione, in effetti, incontra un serio impedimento alla sua realizzazione, lo segnalava Cavicchi, nella constatazione che l’organizzazione sanitaria è fondata su una divisione del lavoro di stampo Tayloristico; che cos’è la una divisione del lavoro di stampo Tayloristico? Si tratta di “un’organizzazione scientifica del lavoro […] basata sulla razionalizzazione del ciclo produttivo secondo criteri di ottimalità economica, raggiunta attraverso la scomposizione e parcellizzazione dei processi di lavorazione […], cui sono assegnati tempi standard di esecuzione.” (Treccani)

L’impedimento nasce dal fatto che l’azienda sanitaria è un’organizzazione che agisce in un contesto altamente variabile, ciò in quanto le patologie hanno sempre una certa variabilità in funzione delle peculiarità del bisogno del malato e pertanto la risposta non può invariabilmente essere sempre la stessa; è necessaria allora un’organizzazione che assecondi una forma di divisione del lavoro capace di stimolare creatività e vera professionalità. Tale forma di divisione del lavoro non può trovare un’applicazione appropriata in un’organizzazione ispirata ad una logica funzionale, meccanicistica, ancora vigente nel nostro sistema sanitario.  

Giustamente il presidente della Cimo Riccardo Cassi, la cui apertura alla proposta di Cavicchi per la verità mi è sembrata passare sotto silenzio, sottolineava: “si è voluto dividere irragionevolmente l’assistenza dalla diagnosi e cura, come se il cittadino paziente fosse spacchettabile nei bisogni e non un soggetto unico la cui salute ha il diritto costituzionale di essere tutelata al meglio delle conoscenze della scienza medica” (QS 22 aprile). Occorre invece definire un tipo di organizzazione in cui si possa valorizzare adeguatamente la cooperazione e la conoscenza, strumenti “critici”, strumenti cioè di valenza strategica per garantire efficacia all’agire di un’azienda, secondo una logica circolare e non secondo una logica a compartimento stagno.

L’armonizzazione auspicata richiede un’organizzazione aziendale capace di mettere in relazione competenze diverse e complementari per la cura del malato.
In un’organizzazione sanitaria l’azione di ciascuno agente dovrebbe essere collegata all’azione degli altri agenti, secondo una logica a rete; un’organizzazione a rete esige strategie collaborative, fondate su rapporti di fiducia durevoli.

Non si ha la pretesa di dare una soluzione ad un problema così complesso, però si potrebbe guardare agli studi sui modelli dell’organizzazione a rete come una possibile soluzione ai vincoli dell’organizzazione tayloristica, come l’humus più appropriato perchè l’auspicata armonizzazione dell’atto medico con le competenze avanzate possa attecchire, come la struttura in grado di favorire la cooperazione tra professioni. L’organizzazione che penso  è simile ad un grosso lampadario con due cerchi concentrici, le competenze mediche e infermieristiche, connessi tra loro da tanti fili, le relazioni: relazioni di conoscenze, di competenze, di collaborazione, relazioni che connettono i due cerchi concentrici in modo armonico e che costituiscono, cerchi e relazioni insieme, l’organizzazione alla quale “avvitare il paziente”, che in qualche modo da senso all’organizzazione stessa nel suo status di beneficiario di tale cooperazione. In tale tipo di organizzazione allora il mansionario diventa uno strumento inadeguato a definire la modalità di risposta alle richieste dell’ambiente esterno, insufficiente ad affrontare i bisogni di un malato.

Mi rendo conto che il mansionario può soddisfare un certo fabbisogno di sicurezza dell’operatore, tuttavia in organizzazioni come quelle sanitarie, più che di mansionari c’è bisogno di conoscenze di cui servirsi all’occorrenza per assumere decisioni, anche con informazioni scarse, per risolvere problemi specifici, più che di precise conoscenze tecniche isolate. L’impostazione tayloristica concepisce l’azione organizzativa imbrigliata in strutture funzionali e procedurali, con organi di staff e di line; ma l’azienda sanitaria è un’organizzazione multiprofessionale che si anima del contributo di varie categorie di agenti, portatori di competenze diverse, più o meno complesse, e collegati tra loro da relazioni di vario genere, delle quali l’azienda deve tener conto, nel corso della sua gestione. L’organizzazione a rete potrebbe essere un utile strumento per integrare tale complessità.

Tale humus organizzativo per essere fertile deve necessariamente essere “concimato” con la virtù della fiducia. Tale virtù prospera particolarmente in contesti in cui si favorisce una logica partecipativa e democratica, logica appunto sottesa ad un’organizzazione a rete. Occorre, però, un moderatore (il ministero?) che sappia contemperare gli interessi in gioco, un armonizzatore capace di sostenere l’organizzazione, in cui tale fiducia possa prosperare: procedere per strappi, ignorando il coinvolgimento di una parte è semplicemente irragionevole. Un’azienda sanitaria che agisce come una comunità in cui ciascun agente realizza il suo contributo, nella consapevolezza che questo modus operandi contribuisce al raggiungimento del bisogno del paziente, implica l'esistenza di questo rapporto di fiducia tra i membri della comunità che è capace anche di passare sopra a temporanei (purchè rimangano temporanei) svantaggi di un componente di tale comunità (vedi demansionamenti), in nome del bene contingente del paziente, perchè sa che tale svantaggio sarà recuperato in circostanze successive.

Cooperazione, partecipazione, fiducia, diventano allora keywords indispensabili per firmare un tale armistizio; l’armistizio non è solo una strada necessaria ma soprattutto una soluzione di buon senso che consente di rivalutare il modo di cooperare tra medici e infermieri, di esplorare nuove vie organizzative; un’assunzione di responsabilità di tutte le parti in gioco verso una rinnovata forma di cooperazione di cui il malato è il primo beneficiario!

Fabrizio Russo
Phd etica applicata al management sanitario
Università Campus Bio-Medico di Roma
Direttore Alta Scuola ARCES


14 maggio 2014
© Riproduzione riservata

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