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Competenze infermieristiche. Sì al confronto con i medici. Ma bisogna andare avanti

di Marcello Bozzi

23 APR - Gentile Direttore,
prendo atto che la discussione sulle “competenze infermieristiche” ha un andamento ciclico di “alti e bassi”, con alternate posizioni di “presunte aperture” e di “rigide chiusure” dell'intersindacale medica (spesso nostalgiche) che entra prepotentemente in un dibattito che riguarda la crescita e lo sviluppo di altre famiglie professionali, in particolare degli Infermieri.
 
Tra le tante posizioni, può essere condivisibile il pensiero del Dott. Cassi, Presidente CIMO, che afferma  “l’imposizione di norme non condivise avrebbe ricadute pesanti sul clima delle strutture sanitarie, esasperando una conflittualità interna che non conviene a nessuno, prima di tutto ai cittadini”.
Ma se viene evidenziata la presenza di una “conflittualità interna” probabilmente è opportuno ricercare le motivazioni che hanno portato a tale “conflittualità”.
 
La storia ci dice che in poco meno di 30 anni si è passati da una formazione infermieristica biennale, di tipo regionale, per il cui accesso era necessario aver frequentato un biennio di Scuola Media Superiore e aver ottenuto l'ammissione al III anno, a una formazione universitaria che prevede dei corsi di Laurea di I e II livello, con paralleli master di I e II livello, fino al dottorato di ricerca.
 
Nello stesso arco temporale:
· sono state abbattute le frontiere “mansionariali”;
· sono stati approvati due nuovi Codici Deontologici dell'Infermiere;
· l'evoluzione scientifica e tecnologica ha profondamente mutato gli approcci diagnostici-curativi-assistenziali e riabilitativi;
· l'evoluzione normativa ha meglio definito i ruoli e le responsabilità dei professionisti interessati (i 22 profili professionali, e la legge 42/'99), le articolazioni organizzative e i ruoli di ogni singola famiglia professionale (L. 43/2006) e le caratterizzazioni e le specificità professionali (L. 251/2000);
· è cambiata la complessità assistenziale (gravità di patologie e severità di cure e assistenza);
· è cambiata la domanda della popolazione;
· sono cambiati i saperi dei professionisti.
 
In questi anni (circa 30) i cambiamenti organizzativi e operativi, conseguenza diretta delle evoluzioni scientifiche e tecnologiche, hanno quasi sempre anticipato i cambiamenti normativi (con alcune differenziazioni sul territorio nazionale, legate ad altre variabili). Nella maggior parte dei casi tutto ciò è avvenuto “naturalmente”, senza particolari contrasti inter-professionali.
 
Il problema di oggi è diverso. C'è una norma (L.43/2006) che definisce chiaramente l'articolazione organizzativa delle 22 professioni sanitarie (professionista generalista, specialista, coordinatore, dirigente).
Sono passati 8 anni dall'emanazione della norma e ancora si dibatte sulla questione!
 
Ci sono tre aspetti che meritano di essere affrontati:
il primo riguarda “la forma”- la norma è già definita e bisogna “dare corpo” alla stessa, definendo i contenuti specialistici caratterizzanti ogni singola professione e le relative aree di intervento. Il compito dell'Università sarà quello di fornire i saperi specifici ai professionisti in formazione, tenuto conto delle nuove necessità del sistema, della nuova domanda della popolazione e delle evoluzioni scientifiche e tecnologiche.  E forse anche la cultura e il linguaggio devono trovare delle evoluzioni in linea con quanto avviene in Europa e nei Paesi avanzati, dove il concetto di “atto medico” è stato superato dal concetto di “atto sanitario”.
 
Il secondo riguarda “la sostanza”- in un sistema multi-professionale e multi-disciplinare è necessario intervenire sui modelli organizzativi e nei sistemi di prevenzione / diagnosi / cura / assistenza / riabilitazione, in una logica di definizione e condivisione di percorsi e processi, nel rispetto delle autonomie, delle specificità e delle caratterizzazioni professionali. Probabilmente è su questo livello che deve “esplodere” il concetto di “coevoluzione” espresso più volte dal Prof. Cavicchi, attraverso un nuovo coinvolgimento multi-professionale nella definizione degli interventi e nella pianificazione delle attività (nell'ambito di un progetto di cura e assistenza), e una parallela definizione e condivisione dei ruoli e delle responsabilità, anche in ottemperamento dell'Art. 8 del vigente CCNL dell'Area della Dirigenza SPTA (che ha ripercussioni “a cascata” su ogni livello delle articolazioni organizzative). Le conseguenze potrebbero essere un abbattimento della“conflittualità interna” descritta dal Dott. Cassi e più alti livelli di motivazione e gratificazione nei professionisti interessati (e non sono cose di poco conto!).
 
Il terzo riguarda “la libera circolazione in Europa dei cittadini e dei professionisti”- è giunto il momento di  allinearci agli altri Paesi (e forse questa è l'occasione giusta!).  Non servono “le guerre” e non servono nuove norme.
Probabilmente è necessario definire un nuovo modello “dinamico” di adeguamento continuo dei saperi dei professionisti a quelle che sono le evoluzioni scientifiche e tecnologiche e i nuovi bisogni di salute delle persone, dove la determinante non è tanto “la norma” ma “la competenza” (che è fatta di sapere teorico e sapere pratico).
Non riesco a capire le preoccupazioni della componente medica … ma probabilmente hanno delle caratterizzazioni meno nobili di quelle presentate … e pertanto non degne di eventuali approfondimenti.
 
La preoccupazione più forte dovrebbe manifestarla l'Università che dovrà adeguare i contenuti formativi ai saperi richiesti ai singoli e ai gruppi (professionali e multi-professionali) e ai nuovi paradigmi, con riferimento a tutti i percorsi formativi che si realizzano nell'ambito della Facoltà di Medicina e chirurgia (a partire dalla formazione del medico).
 
In un sistema complesso come quello sanitario, certamente è auspicabile un confronto continuo con le componenti professionali, come suggerito dal Dott. Cassi, possibilmente su tutte le problematiche e argomentazioni, sia di carattere generale, sia di interesse specifico, in maniera bi-laterale e non uni-laterale.
 
In conclusione, pur nel rispetto delle posizioni dei tanti che a vario titolo si sono espressi, e di coloro che hanno lavorato in silenzio su altri tavoli, ritengo che le posizioni del Ministro Lorenzin siano favorevoli ad una rapida conclusione della questione “competenze avanzate infermieristiche” (o forse sarebbe meglio dire “all'inizio di un nuovo corso”), a garanzia e tutela degli utenti e dei professionisti.
 
Marcello Bozzi
Infermiere AUSL Pescara
Componente Commissione Nazionale Formazione Continua

23 aprile 2014
© Riproduzione riservata

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