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Assistente infermiere: due aspetti da presidiare 

di A. Pennini, G. Barbieri

07 OTT -

Gentile Direttore,
la nuova figura dell’assistente infermiere, è ormai realtà ed è oggetto di discussioni e dibattiti su più fronti.
Abbiamo già esposto alcune riflessioni “a caldo” sul vostro quotidiano.

Riteniamo che ci siano due aspetti su cui soffermarci ulteriormente, che meritano di essere presidiati in modo particolare.
Il primo aspetto riguarda la questione semantica. Si è scelto di utilizzare il nome “assistente infermiere” per una figura che è di fatto normata come un’evoluzione dell’OSS che svolgerà una formazione complementare a quella di base.

All’art. 1 infatti si leggono due affermazioni che meritano attenzione:

  1. L’assistente infermiere è operatore di interesse sanitario […]
  2. E’ un operatore in possesso della qualifica di operatore socio sanitario che a seguito di un ulteriore percorso formativo consegue la qualifica di assistente infermiere.

La Legge 43/2006 fornisce il contenitore giuridico per potere denominare la figura “operatore di interesse sanitario”. Il livello successivo chiarisce che si tratta di un OSS che effettuerà un ulteriore percorso formativo per conseguire una qualifica denominata “assistente infermiere”.

Perché quindi questa scelta semantica? Perché non continuare a chiamarlo “OSS con formazione complementare” o OSS con formazione sanitaria o altro ancora? Perché arrivare a utilizzare le parole “assistente” e “infermiere”?

Le parole hanno la loro importanza e probabilmente questa scelta risponde a un bisogno di rassicurazione che si sta facendo qualcosa per colmare la carenza infermieristica. Questa figura si inserirà nel panorama assistenziale, insieme a un rinnovato profilo di OSS, e andrà senz’altro a ricollocare alcune attività del processo assistenziale, fra cui la rilevazione di parametri, l’assunzione di farmaci e altre ancora. Lo scopo, s’intende essere quello di liberare l’infermiere da queste attività, a favore di altre di sua esclusiva competenza e non trasferibili, come la pianificazione assistenziale e la presa in carico.

Fin qui nulla di particolarmente nuovo, almeno per quanto riguarda la prospettiva giuridica. Perché, in effetti, l’infermiere continuerà ad essere lui il “responsabile dell’assistenza generale infermieristica”, come previsto dal D.M. 739/1994, con uno specifico “campo proprio di attività e di responsabilità”, come individuato dalla L. 42/1999. Di contro, l’assistente infermiere, secondo l’Accordo, sarà “responsabile della correttezza dell’attività svolta”. In termini strettamente giuridici probabilmente nulla cambia rispetto ai profili di responsabilità come già indicato a suo tempo per l’OSS.

Luca Benci, all’epoca, commentando il profilo dell’OSS e i termini di responsabilità in rapporto all’infermiere, scriveva come il verbo collaborare, che ritroviamo nel profilo dell’assistente infermiere (il quale, appunto, collabora con gli infermieri), sta ad indicare che svolge attività su precisa indicazione del professionista e, dunque, sempre usando le parole di Luca Benci, una longa manus dell’infermiere (Benci L., Aspetti giuridici della professione infermieristica, Mc-Graw Hill, 2019), dove ognuno risponde della correttezza del proprio agire. Ma l’infermiere ha il dovere di “supervisione”, secondo quanto indicato nell’Accordo istitutivo dell’assistente infermiere. In altre parole, l’infermiere ha un dovere di controllo sull’operato dell’assistente infermiere. Esiste dunque una forma di responsabilità indiretta a carico dell’infermiere? La responsabilità indiretta è una responsabilità oggettiva per fatto altrui, che prescinde da ogni valutazione di colpa (Bianca M., 2021) e legata ai poteri di direzione e di sorveglianza. Spesso, poi, la giurisprudenza in questi casi richiama i concetti di culpa in eligendo e culpa in vigilando, ossia una responsabilità nella scelta del soggetto a cui attribuire determinate attività e una responsabilità nel controllo circa l’esito delle attività attribuite. Nulla di nuovo, insomma, ma l’eventuale giurisprudenza sul tema potrà meglio chiarire il rapporto. Oltre tre secoli fa un giurista francese, Roberto Joseph Pothier aveva scritto, con una terminologia sicuramente oggi arcaica, che i maitres sono responsabili per gli illeciti compiuti da servitori e lavoratori nell’esercizio delle funzioni alle quali sono adibiti. Questo concetto è poi transitato nel codice civile italiano vigente, dove si prevede, appunto un la responsabilità (civile) di un soggetto nei confronti di un altro soggetto circa il quale il primo ha un dovere di direzione, vigilanza e sorveglianza.

Riguardo la prospettiva sociologica e organizzativa, invece, si apre il secondo aspetto su cui vorremmo riflettere.

E’ normale, che alla crescita di una professione, si liberino spazi che vengono occupati da altre figure. In questo caso però, temiamo che la spinta alla creazione della nuova figura, non venga da questo meccanismo.

La crescita professionale per l’infermiere è quella che va nella direzione del governo del processo assistenziale, che include la pianificazione e le decisioni riguardanti le cure infermieristiche, competenze non trasferibili ad altri. Questi aspetti erano già contenuti nel profilo dell’infermiere, che ha recentemente compiuto 30 anni. Questa traiettoria di sviluppo, però non si è completamente compiuta, quantomeno in molti contesti organizzativi. Ora, cosa dovrebbe succedere in termini di crescita della professione infermieristica con l’avvento dell’assistente infermiere? Probabilmente che l’infermiere porti a termine quel processo iniziato con il profilo e non del tutto completato in termini globali e sistemici.

Però la pianificazione e il governo del processo assistenziale sono legati ai modelli di erogazione delle cure. Dove è in essere il modello funzionale (per compiti), la pianificazione diviene un compito e non sostiene in modo forte le decisioni e le attività infermieristiche. Attualmente, questo, è ancora il modello prevalente, soprattutto nei contesti ospedalieri e residenziali, dove viene privilegiata una logica per prestazioni.

Pertanto, perché la professione infermieristica possa davvero crescere è necessaria una revisione importante dei modelli organizzativi, verso una logica per obiettivi, come ad esempio avviene nel primary nursing. Questo sosterrebbe anche un’attribuzione appropriata di attività all’assistente infermiere (e all’OSS), mantenendo all’infermiere la responsabilità degli esiti correlati all’assistenza.

Quest’ultimo aspetto, secondo noi, è quello su cui lavorare nel prossimo futuro, in modo che questa novità diventi un’opportunità e non una minaccia, per i professionisti, per le organizzazioni e per le persone assistite.

Annalisa Pennini
PhD in Scienze Infermieristiche - Sociologa
Giannantonio Barbieri
Avvocato esperto di Diritto Sanitario



07 ottobre 2024
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