Gentile direttore,
sono passati 20 anni dall’approvazione della legge 40. Da allora è molto cambiata grazie alle sentenze della Corte costituzionale (dalla 151 del 2009 alla 229 del 2015, solo per fare due esempi), al TAR Lazio e soprattutto grazie alle persone che si sono opposte a questi divieti ideologici e assurdi. E grazie al lavoro dell’Associazione Luca Coscioni, in difesa della libertà e dei diritti.
Ora la Corte costituzionale risponderà al dubbio di legittimità costituzionale dei requisiti d’accesso, cioè di quell’articolo 5 che permette solo alle coppie, sposate o conviventi, di accedere alle tecniche riproduttive. Rigorosamente solo coppie formate da un uomo e una donna.
Paola Binetti, nella lettera a lei indirizzata e pubblicata su Quotidiano Sanità del 16 settembre 24, è preoccupata che questo divieto possa essere eliminato. Perché? Perché sparirebbe il padre? Perché il bambino nascerebbe mezzo orfano? Perché sarebbe necessariamente e inevitabilmente danneggiato dal nascere in questo modo? Ognuno può pensare quello che vuole, naturalmente, ma per giustificare un divieto – non una preferenza, ma un divieto che vale per tutti – ci vogliono ragioni meno personali e meno deboli.
Se ammettiamo che sia giusto questo divieto (e ingiusta la sua eventuale cancellazione), dovremmo allora vietare anche alle donne che non hanno bisogno delle tecniche riproduttive di fare un figlio da sole, perché discrimineremmo i nati da un rapporto sessuale rispetto ai nati da tecniche.
Se i bisogni dei bambini sono davvero quelli di avere un padre e una madre, questo illusorio principio formale dovrebbe valere per tutti e non solo per chi ha bisogno della medicina per provare ad avere un figlio.
Su alcune cose crediamo di poter essere tutti d’accordo, prima tra tutte il benessere del nascituro. Ma per garantire il suo benessere non basta un modello familiare imposto e non basta essere in grado di partorire e avere un marito.
Sarebbe rassicurante, forse, ma non è così. Ci sono già molte famiglie con un solo genitore, ci sono famiglie ricomposte e allargate, ci sono famiglie con due madri o con due padri. Nessuna di queste famiglie è a priori migliore o peggiore delle altre.
Insomma, i requisiti stabiliti da quell’articolo 5 per accedere alle tecniche sono ingiusti e discriminatori. E ci auguriamo che la Corte riconoscerà questa ingiustizia.
Chiara Lalli
Anna Pompili
Consigliera generale dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica APS