Gentile direttore,
ci fa molto piacere che si sia sviluppato un intenso dibattito sulle questioni relative ai mentally ill offenders. Non sono mancati coloro che, molto civilmente, hanno indicato le loro abituali soluzioni e valutazioni: lo hanno fatto i Colleghi Pellegrini[1] e Angelozzi[2] su queste pagine. Abitualmente non rispondiamo alle critiche che vengono mosse agli articoli che pubblichiamo. Nel caso però dell’articolo pubblicato ieri dal Collega Di Croce su QS[3] ci corre l’obbligo di farlo. È apparso infatti manipolatorio e fuorviante il tentativo del Collega di interpretare le nostre intenzioni.
In primo luogo Di Croce ci accusa di non formulare “in modo esplicito” le nostre opinioni, che secondo lui sarebbero “politicamente scorrette”. Ci fa molto piacere essere considerati politically incorrect da persone come Di Croce, che evidentemente ritengono, solo perché se lo dicono da sole, di essere politically correct. Una cosa è però certa: abbiamo sempre dichiarato le nostre opinioni in modo totalmente esplicito. Lo abbiamo fatto per anni e continuiamo a farlo.
Di Croce sostiene poi che noi, che secondo lui “non parliamo come mangiamo”, faremmo parte di una “solida maggioranza silenziosa (o minoranza silenziosamente egemone)” che spingerebbe in una “direzione neo-custodialista”. Noi abbiamo sempre detto ‘pane al pane e vino al vino’, mentre invece non ci pare che lo faccia Di Croce, che presumiamo stia dalla parte degli psichiatri “stop-REMS” e “stop-TSO”. Nella nostra attività teorica e pratica ci siamo sempre pronunciati a favore di soluzioni terapeutiche utili a coloro che soffrono di gravi disturbi mentali, andando sempre in una direzione opposta a quella “neo-custodialistica”: dai nostri Servizi di Salute Mentale non solo non abbiamo mandato in OPG/REMS i nostri pazienti, ma ne abbiamo tirati fuori moltissimi da quelle istituzioni totali, organizzando fra l’altro, già nel 2000, la prima Struttura Residenziale Psichiatrica per pazienti autori di reato, una struttura che ha costituito il modello organizzativo per il superamento degli OPG, “strutture indegne di un paese appena civile”, mantenute per anni con la complicità silenziosa di quelli che, loro sì, spingono per soluzioni “neo-custodialistiche” per i pazienti con disturbi mentali proprio mentre si dicono paladini della loro “liberazione”. Nessuno di noi, ovviamente, è mai stato a favore di soluzioni “neo manicomiali”: i nostri Servizi e le nostre Strutture era assolutamente “aperte”, visitate e prese ad esempio da Colleghi di tutto il mondo come organizzazioni esemplari, certificate e garantite nella loro qualità, soprattutto dagli utenti. Ci hanno sempre fatto orrore quei Servizi che, in ossequio ai falsi principi della “libertà” (o di una “capacità di intendere e di volere” mantenuta sempre e in ogni caso dai sofferenti di disturbi mentali), abbandonavano i loro pazienti in OPG, nelle REMS, in carcere, per strada, oppure in Strutture Residenziali o in case fatiscenti. I paladini della “libertà ad ogni costo” vanno proprio nella vituperata direzione ‘americana’, dove le carceri sono stracolme di gravi pazienti psichiatrici e dove i numerosi homeless sono affetti per due terzi da rilevanti disturbi mentali (metanalisi del JAMA del 17 aprile 2024). Noi, secondo Di Croce, sosterremmo un “pericolosismo caritatevole” (non comprendiamo appieno cosa si voglia dire con questa insipiente boutade), ma siamo certi che il disinteresse che si nasconde dietro una vuota ideologia libertaria costituisca un grave pericolo per i pazienti e per la società. Noi, che ci teniamo a un solido esame di realtà e rifuggiamo dalle ideologie di “destra” e di “sinistra”, sappiamo riconoscere la “pericolosità sociale” (concetto giuridico che ci guardiamo bene, perché esperti, dal sovrapporre persino a quello di ‘infermità di mente’ -altro concetto giuridico-, figuriamoci a quello di disturbo psichico) di un mentally ill offender. Sappiamo che, dei 1400 pazienti psichiatrici autori di reato socialmente molto pericolosi (tanto che i Giudici ne hanno decretato l’internamento nelle REMS), 700 sono fuori dalle REMS e di questi ultimi, nella piena illegalità, una cinquantina sono nelle confortevolissime carceri italiane. Confortevolissime carceri italiane che già ospitano una marea di persone con gravi turbe psichiche e/o di tossicodipendenti cronici: non abbiamo mai detto o scritto che questa prevalenza rende conto di “tutti” i suicidi dei detenuti, ma ogni persona ragionevole (non importa che sia uno psichiatra) si rende conto che essa ha una grandissima influenza. Confortevolissime carceri italiane nelle quali, coloro che ‘dicono’ di parlare fuori dai denti, vorrebbero mandare tutti coloro che compiono dei reati, non importa se sofferenti di gravi disturbi mentali. Ma vorrebbero mandarceli solo per sostenere poi, con maggiore forza, che è indispensabile “abolire il carcere” (Manconi et al.), perché, così come è strutturato, il carcere serve a ben poco.
In fondo, le ragioni di chi, parlando fuori dai denti, vorrebbe “abolire” questo carcere, non sono poi così distanti da quelle del fondatore della Antropologia Criminale nel mondo western, da quel Cesare Lombroso che, con i sistemi ‘scientifici’ dell’ottocento, che allora erano imperanti e che adesso è facile indicare come ridicoli, sosteneva che occorreva studiare “l’uomo criminale” per individuare i suoi eventuali disturbi psichici. Specie considerando l’altissima incidenza dei disturbi mentali (anche gravi o gravissimi) nelle carceri attuali, ce la sentiremmo di dire che Lombroso va deriso, o che Manconi non ha alcun argomento nel sostenere che questo carcere va “abolito”?
La verità (e la realtà) purtroppo, almeno dalle nostre parti, è che l’egemonia, all’interno della direzione dei Servizi di Salute Mentale e persino degli Istituti Scientifici Psichiatrici, è esercitata da coloro che manifestano un consenso, più o meno esplicito, a posizioni ‘teoriche’ analoghe a quelle di Di Croce, posizioni viziate da un totale pregiudizio ideologico (presumiamo che sia di “sinistra” quello di Di Croce, così come ne esiste uno di “destra”) e totalmente impermeabili a un sano esame di realtà. A noi piacciono le collaborazioni interprofessionali (quelle che hanno consentito di chiudere i ‘malsani’ manicomi, dove entrambi abbiamo purtroppo lavorato) e quelle interistituzionali (fra Salute, Giustizia e Sociale) che sono indispensabili per affrontare ragionevolmente i gravi e irrisolti problemi dei mentally ill offenders. Di certo però, con una Salute Mentale che ha timore della ‘posizione di garanzia’, che pensa di non doversi ‘sporcare le mani’ curando (curando!) la pericolosità sociale dei pazienti autori di reato, che ritiene che il suicidio dei malati di mente non sia prevedibile e prevenibile, ogni possibilità di confronto appare davvero impossibile; almeno se si vuole parlare fuori dai denti, come sempre facciamo.
Mario Iannucci
Psichiatri psicoanalisti
Esperti di Salute Mentale applicata al Diritto
[1] https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=123281&fr=n
[2] https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=123303&fr=n
[3] https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=123317