Crisi della medicina generale, quali regole di ingaggio possono renderla più attrattiva?
di Michele Diana
02 APR -
Gentile Direttore, si parla tanto della crisi dei medici di famiglia, che in alcune regioni vanno diminuendo sempre più, fino a scomparire. E si parla perfino di medici di Medicina Generale "a pagamento" nelle grosse aree urbane del nord, come sta già avvenendo in Inghilterra. Orbene, il vero problema della Medicina Generale è la scarsa attrattività per i (pochi) giovani medici licenziati dalle università, che non hanno intenzione alcuna di iscriversi al Corso di Formazione, non equiparato ad una specialità, per svolgere poi una attività professionale dove non sono presenti gli elementi fondamentali ed elementari di qualunque altro lavoro: la malattia, l'astensione per gravidanza, le ferie, la tredicesima mensilità.
Il medico di famiglia è inquadrato come libero professionista, ha quindi la partita IVA, ma deve garantire, da Convenzione, un’attività di apertura oraria, come se si tratta di un dipendente; ha gli obblighi del dipendente ma nessun vantaggio (niente ferie, malattia e tredicesima); ha tutti i rischi di impresa del libero professionista, dovendosi pagare studio, riscaldamento, pulizia, elettricità, internet, commercialista, eccetera, ma nessun vantaggio della libera professione, essendo tenuto a orari di apertura e turni ben precisi (e le cose si complicheranno con la richiesta di lavorare anche all'interno delle case della salute).
Il medico di famiglia è ricattabile dai pazienti, perché il suo pagamento avviene per "quote capitarie" cioè in base al numero di assistiti (che possono mollarlo quando e come gli pare) e non per le ore di lavoro svolte. Deve quindi districarsi tra pazienti-esigenti che vorrebbero certificati di malattia anche quando non malati, e pretenderebbero talora prescrizioni ridondanti e non necessarie, e una Azienda Sanitaria che reclama il rispetto dei tetti di spesa. Una parte consistente dell'attività del medico di medicina generale si svolge a porte chiuse, finita l'attività di ricevimento dei pazienti, per rispondere a tutte le telefonate e processare tutti i messaggi WhatsApp, gli sms e le mail che arrivano, con le prescrizioni che ne conseguono.
Per non parlare della burocrazia degli inutili piani terapeutici da compilare, per farmaci entrati ormai prepotentemente nella pratica clinica. Infine ci sono tutte le visite domiciliari da effettuare. Ciononostante, il Ministro della Salute chiede, in audizione parlamentare, la certezza di "un impegno orario", e dichiara pubblicamente: “Non mi appassiona il fatto che diventino dipendenti del Ssn, ma devono dare un contributo orario nel Ssn e va fatto nelle strutture deputate alla medicina territoriale. Non faccio battaglie sul contratto della medicina generale ma pretendo che lavorino un certo numero di ore e assicurino la presenza nelle case di comunità”.
Bene, se solo potessi, io inviterei il Signor Ministro, che è anche un Collega, a farmi compagnia per un giorno, in modo da constatare la mole di lavoro svolta. Ed allora, se “dobbiamo rivedere le regole di ingaggio”, converrebbe proprio che il Signor Ministro si appassioni all'idea che noi diventiamo dipendenti, come il resto dei medici pubblici, sia in ospedale che nel territorio. Il rischio che la Medicina Generale correrà, altrimenti, con il pensionamento degli attuali ultrasessantenni, è che non ci sarà ricambio generazionale alcuno.
I giovani medici, hanno la possibilità di entrare con facilità nelle scuole di specializzazione e negli ospedali (perfino già da specializzandi), dove possono guadagnare uno stipendio senza rischio d'impresa, godere delle ferie, del sacrosanto diritto alla malattia, non avere ricatto alcuno perché pagati ad ore di lavoro e non ad "assistiti", per cui non opteranno facilmente per la Medicina Generale. Essa così com'è, morirà da sola, alla faccia dei sindacati che la rappresentano (e ne traggono vantaggio) e dell'Enpam (che teme il passaggio dei Generalisti all'INPS, in caso di ventilata dipendenza).
Si potrebbe salvare capra e cavoli, come dice il proverbio, con un inquadramento dei medici di Medicina Generale analogo a quello degli Specialisti Ambulatoriali Interni, che versano i loro contributi all'Enpam, ed hanno un contratto di lavoro con attività oraria, ferie, malattia e tredicesima. Lasciando al cittadino la possibilità di scegliersi comunque il medico che vuole, (con i dovuti aggiustamenti stipendiali proporzionali al numero di assistiti) salvando quindi anche il rapporto fiduciario.
Michele Diana Medico di Medicina Generale
02 aprile 2024
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lettere al direttore