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Sì alle riforme ma senza distruggere l’articolo 32 della Costituzione

di Ivan Cavicchi

15 GEN -

Gentile direttore,
l’altro giorno Alessio D’Amato responsabile welfare di Azione commentando l’ultimo rapporto dell’Ocse sulla sanità ci ha detto che “non dobbiamo perdere tempo” che serve fare una “grande riforma” (QS 12 gennaio 2024)

Roberto Polillo e Mara Tognetti ci dicono più o meno la stessa cosa cioè che “non c'è più tempo disponibile” e che per la sanità serve un “piano straordinario quinquennale” come quelli che si usavano nella defunta unione sovietica.

Tutti hanno fretta, ma a parità di questioni, uno vuole una riforma e uno un piano quinquennale. Ma tra riforma e piano quinquennale temo vi sia una gran bella differenza. O no?

D’Amato vuole una “grande riforma” ma non ci dice cosa è per lui una “riforma” e soprattutto cosa, questa riforma, dovrebbe riformare. Cioè quali gli scopi. Conosciamo però i 10 punti di Azione e sappiamo che Azione è una sostenitrice convinta della seconda e della terza ma forse anche della quarta gamba Ma privatizzare meglio, se questa è la riforma, per noi non è una riforma ma una controriforma.

Polillo e Tognetti ci propongono, anche loro come Azione 10 punti ma per pianificare l’invarianza dal momento che a parte un po’ di razionalizzazione alla fine, della baracca, non cambia sostanzialmente niente. Pensate che ci propongono di cambiare le aziende con le aziende, il rapporto pubblico/privato con il rapporto pubblico/privato, la seconda gamba con la seconda gamba il territorio con il territorio e così via.

La cosa è davvero curiosa perché costoro senza alcun imbarazzo ad ogni piè sospinto ci ricordano che sono dei “rivoluzionari” (anche se non si capisce a quale titolo ritengono di esserlo) e che il loro piano quinquennale è la “rivoluzione possibile” che però alla fine a ben vedere non è nulla di più che la scoperta dell’acqua calda. Quindi invarianza pianificata.

La cosa che però accomuna D’Amato e Polillo/Tognetti ripeto è la “fretta” entrambi, giustamente, siccome le cose vanno male non vogliono perdere tempo, vogliono fare presto. È la fretta di chi arriva come si dice “dopo i fuochi” di chi non vede per tempo la tranvata che ti sta arrivando addosso quindi di chi essendo normalmente miope e privo di lungimiranza politica è sempre in ritardo.

Non bisogna essere incornati per accorgersi che esiste il toro specie se il toro è grosso come un palazzo e se è da 40 anni che ci gira dentro casa.

Nel piano quinquennale di Polillo/Tognetti, la questione che pone l’Ocse della sostenibilità anche se strategica, cioè la questione del toro, non è neanche accennata. Cioè non esiste. E questo la dice lunga sull’attualità del loro piano quinquennale.

L’Ocse oggi perfettamente in linea con i suoi precedenti report insiste nel dirci che siamo sull’orlo del baratro e rimette al centro del suo ragionamento, la questione della sostenibilità, e che definisce come un problema di pura compatibilità economica tra economia spesa pubblica e spesa sanitaria fino a proporci diverse “opzioni” (esattamente 4) tutte pensate per trovare il modo di ridurre comunque la spesa sanitaria pubblica perché l’economia va male e quindi bisogna trovare una quadra. Modo che l’Ocse chiama “resilienza”. Essere resilienti per l’Ocse significa essere compatibili

La mia impressione è che L’Ocse vorrebbe in teoria cambiare paradigma ma non riesce a liberarsi del paradigma di cui sembra essere prigioniera per cui alla fine resta fondamentalmente un paradigma neoliberista tutto giocato sulla compatibilità finanziarie e quindi sul rapporto intercambiabile privato pubblico. Vuole cambiare paradigma ma non ci dice quale sia il paradigma alternativo.

L’Ocse ormai di report sulla sanità ne ha fatti diversi e tutti, da anni, ci descrivono dei processi in corso ad esiti infausti cioè ci descrive un conflitto insanabile tra economia e sanità, per l’appunto una incompatibilità, da arginare e contenere in qualche modo.

Nell’ultimo report quello al quale si riferisce D’Amato si parla di “crack” in quello precedente di “shock” ( QS 25 febbraio 2023) ma in tutte e due e in quelli ancora precedenti l’Ocse continua a proporci la linea classica neoliberista della compatibilità: cioè trovate il modo di adattarvi ai problemi dell’economia. Fate resilienza cioè riadattatevi.

Non ci dice come riformare e quale riforma fare ci ridice però che inevitabilmente bisogna ridefinire il rapporto privato pubblico.

In questo ultimo report l’Ocse dice con grande chiarezza che “senza risorse pubbliche aggiuntive disponibili per la sanità, una maggiore spesa sanitaria verrà automaticamente spostata al settore privato”.

Quindi anche per l’Ocse alla fine la “grande marchetta” resta sia il problema che la soluzione.

Ecco signori questa roba che l’Ocse chiama “resilienza” e “sostenibilità” non è in nessun modo una novità.

Da sempre esiste il conflitto tra economia e sanità e il problema della resilienza e della sostenibilità. Le mutue a causa di questo conflitto sono crollate. In nome della sostenibilità sono state fatte le peggiori controriforme del paese. Le aziende sono state fatte per risolvere i problemi di sostenibilità. La seconda e la terza gamba anche. E in nome della sostenibilità probabilmente se l’Ocse ha ragione, come temo, a parlare di crack, perderemo anche la nostra sanità pubblica.

Ricordatevi le tesi temerarie della Bindi e della Dirindin sulla “non autosufficienza” del sistema pubblico (QS 23 gennaio 2023) e sul ruolo del privato che proprio loro hanno sdoganato proprio per assicurare in modo neoliberista la sostenibilità del sistema.

Neoliberisti di sinistra che sotto l’egida dell’Ulivo per ragioni di sostenibilità hanno mandato in vacca l’art 32. La cosa più preziosa. Oggi l’Ocse ritorna a battere sul problema e ci dice che “sistemi sanitari sono a rischio crack. e che senza un cambio di paradigma essi saranno insostenibili”. E che per l’Italia nei prossimi anni si vedranno i sorci verdi.

Il “cambio di paradigma” di cui parla l’Ocse noi con l’appoggio di questo giornale, l’abbiamo proposto con la “quarta riforma” ben 8 anni fa quando l’Ocse non parlava di Crack e di Shock. Non finirò mai di ringraziare Cesare Fassari per il suo aiuto leale e convinto e per la sua amicizia.

Molto prima quindi dei rapporti allarmati dell’Ocse, proponemmo quello che oggi propone l’Ocse e cioè una riforma di paradigma ma, attenzione e qui che viene il bello, una riforma non per non cambiare niente, come ci propone il piano quinquennale, ma per rispondere ai problemi di sostenibilità che in Italia esistono da anni e sui quali in Italia si sono fatte solo delle controriforme del cavolo. Controriforme che ne D’Amato ne Polillo Tognetti ci pare di capire vogliono mettere in discussione. Il piano quinquennale è infatti chiaramente a controriforme invariate.

La “quarta riforma” in sintesi non è altro che una proposta di riforma dell’idea di sostenibilità neoliberista la stessa che ci ha portati alla rovina. Cioè la stessa che ci propone oggi l’Ocse. Cioè essa è una profonda critica alla strategia della compatibilità e il cui scopo è risolvere una volta per tutte il conflitto ancora mai risolto tra economia e sanità. La “quarta riforma” diversamente dall’Ocse propone di risolvere questo conflitto senza ammazzare ancora una volta l’art 32 della Costituzione.

Avete ragione, bisogna sbrigarsi, fare presto, ma di grazia mi spiegate, ad art 32 invariante, questo cavolo di conflitto come intendete risolverlo? Perché senza art. 32 son tutti bravi a fare sostenibilità. Cioè a fare i neoliberisti. Basta fottere i diritti e i conti pubblici tornano. Ma esiste o no una strada diversa da quella indicata dall’Ocse che non sia necessariamente neoliberista? Cioè un paradigma alternativo?

La “quarta riforma” dice, si, esiste, è possibile si può fare, anzi si deve fare, ma per farlo essa dice bisogna riformare per davvero non per finta.

Ma oggi, di questi tempi, a parte la “quarta riforma” snobbata dai finti riformatori, dove cavolo lo troviamo un pensiero riformatore?

Ivan Cavicchi



15 gennaio 2024
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