Gentile direttore,
l’importante report dell’OCSE sulla sostenibilità dei sistemi sanitari, di cui avete dato puntuale notizia accompagnata da un bella riflessione, deve contribuire ad aprire una discussione vera sul nostro servizio sanitario nazionale a 45 anni dalla sua costituzione , dopo il contrasto alla più grande emergenza sanitaria del secolo che è stata la pandemia, che purtroppo non ci ha insegnato niente, vista la situazione attuale dei pronto soccorso travolti da un evento prevedibile come l'alta incidenza influenzale e le difficoltà nelle campagne di vaccinazioni. La sanità italiana ha bisogno di una "agenda seria e realistica", come scriveva qualche giorno fa anche il prof. Sabino Cassese che non appare, a mio avviso, oggi all'orizzonte dell'attuale Governo.
Serve una lungimiranza di una classe dirigente che non si limita a tagliandi di messa a punto ma cambia completamente rotta. Non si tratta solo di trovare un equilibrio tra la dicotomia di un maggiore finanziamento versus l’efficientamento del sistema, ma la prima cura deve essere una grande riforma. Il tema è quale riforma? Il servizio sanitario nazionale è una delle maggiori conquiste della nostra storia repubblicana, nato su basi universalistiche, in quella stagione di grandi conquiste civili, del mondo del lavoro e produttivo che hanno appassionato il Paese. Primo punto la discussione sulla riforma del sistema non può essere tra addetti ai lavori, come è avvenuto negli ultimi dieci anni, ma deve essere una grande discussione popolare, che riguarda il futuro e le nuove generazioni.
Secondo è vero che non è certo solo un tema di risorse, anche se il nostro Paese investe molto meno di Francia e Germania, ma anche di organizzazione e di efficienza, che richiama direttamente il rapporto Stato-Regioni. Lo dico da ex assessore alla sanità della seconda regione italiana che è uscita dopo 12 anni dalla più lunga stagione di commissariamento, si apra pure una grande discussione pubblica sul decentramento e sanità, ma in uno spirito di coesione e di solidarietà, purtroppo la proposta di autonomia differenziata va in senso diametralmente opposto. Terzo punto oggi il tema di fondo sono le diseguaglianze di accesso ai servizi in base al livello di reddito e istruzione.
Si cura meglio chi ha le risorse economiche e la conoscenza. La spesa totalmente privata cresce ad un ritmo decisamente maggiore dell'incremento della spesa totale e raggiunge i 40 miliardi, questo è il principale segnale che il sistema non riesce a soddisfare i fabbisogni. Quarto punto sono le risorse umane e i livelli salariali, in Italia abbiamo gli stipendi più bassi per medici e infermieri e c'è una fuga all'estero, negli ultimi venti anni sono circa 180 mila i professionisti che hanno fatto questa scelta. Il caso più eclatante è del personale infermieristico che, oggi per la prima volta, vede una scarsa adesione e propensione alle nuove iscrizioni, inferiore ai fabbisogni formativi e assistenziali. Questo significa una cosa molto semplice che già oggi sappiamo che avremmo una maggiore difficoltà nel reclutare il personale per i prossimi anni se non si mette mano subito ad una vera riforma.
Una volta in una famiglia la professione infermieristica era segno di una progressione all'interno dell'ascensore sociale, oggi non è più così. Un infermiere italiano se va a lavorare all'estero prende circa il triplo di quello che percepisce qui e con una possibilità di progressione di carriera più alta.
Abbiamo, qui e ora, una grande questione salariale e professionale, per medici e infermieri. Quinto punto abbiamo un tasso di invecchiamento della popolazione tra i più alti al mondo con un tema rilevante delle patologie multi-croniche e neurodegenerative con cui fare i conti, con un sistema territoriale sociosanitario debole che sta scommettendo sul PNRR ma che personalmente dubito possa, in assenza di una vera riforma, avere successo. Sesto punto sono le liste di attesa e il sistema dell'intramoenia oggi completamente saltato che genera ingiustizie e penalizzazioni su cui ci dovrebbe essere un grande sforzo con il concorso di tutti gli attori del sistema anche per recuperare ciò che è stato ritardato a causa della pandemia, soprattutto in campo oncologico. Settimo qualsiasi progetto di riforma deve avere un approccio "one health" e un grande investimento nella digitalizzazione e nelle nuove frontiere della tecnologia e della intelligenza artificiale che stanno investendo in maniera travolgente la medicina.
Oggi la tutela della salute è più che mai interconnessa all'ambiente, al clima e al mondo animale ecco perché dobbiamo passare da una visione puramente prestazionale ad un approccio trasversale, questa è la grande scommessa che ci lascia il covid, il famoso "Butterfly effect" che abbiamo visto all'opera. Ottavo punto, di fronte ad una carenza di risorse pubbliche, ad un basso tasso di natalità e ad un probabile aumento di costi per le terapie più avanzate possiamo continuare ad avere un sistema che sostanzialmente si finanzia nel medesimo modo di decine di anni fa e non si pone il tema della sua sostenibilità, come ci dice il rapporto OCSE? Questo tema investe anche l'Europa il cui spirito risiede proprio nella difesa dei sistemi democratici e nella peculiarità del suo modello di welfare e questo dimostra quanto banale è stata nel nostro Paese la discussione sul Mes, che poteva essere uno strumento per rafforzare strutturalmente il sistema sanitario pubblico. Così come l’Europa si è sviluppata ed è cresciuta con la Politica Agricola Comunitaria oggi avremmo bisogno di una Politica Sanitaria Comune.
Infine, questa discussione richiede una grande fiducia nella scienza e nel metodo dell’evidenza scientifica e una classe dirigente autorevole dovrebbe chiedere ai maggiori esperti italiani ed europei di contribuire a questa riforma che riveste un carattere epocale. Purtroppo, anziché istituire inutili commissioni parlamentari covid si dedicasse tempo a questo tema si farebbe un grande servizio al Paese.
Alessio D’Amato