Gentile Direttore,
confesso che, leggendo l’intervento della Società Italiana di Psichiatria sull’ennesimo omicidio compiuto da un paziente in carico ai servizi psichiatrici, mi sono imbattuto in alcuni aspetti in cui trovo difficile orientarmi.
E questo avviene non solo per una analisi che è per tanti aspetti corretta, ma comunque lacunosa, come peraltro indica anche l’intervento di Pellegrini.
E’ a mio parere corretta quando segnala che la Legge 81/2014 di fatto non ha dato gli strumenti ai servizi, né come normativa né come risorse, per gestire situazioni che venivano loro totalmente affidate. E’ innegabile che la Legge 81/2014 ha incrementato la confusione fra violenza e patologia mentale e, nel tentativo di completare la Legge 180/78, in realtà ne ha scardinato un punto essenziale. Alla fine, senza significative basi scientifiche, ha preteso di definire per legge ambiti terapeutici, stabilendo che tutto è curabile, compreso quello in cui entrano dinamiche che con le patologie hanno poco a che fare. Scelte etiche si sono mescolate a norme e clinica, in un grande esperimento sociale.
E’ lacunosa quando si sofferma però solo su questo aspetto, tralasciando la progressiva deriva comunque avvenuta nella confusione fra clinica e trattamento della violenza: basti pensare ai vari pronunciamenti della Magistratura sugli usi del TSO o sulla posizione di garanzia, tradendo il senso della Legge 180/78. Oppure ad un pensiero diffuso (non solo a livello popolare, ma anche fra medici ed amministratori) per cui allo psichiatra compete comunque la gestione della violenza, fino a coinvolgerlo direttamente (come in Veneto) anche nella prevenzione della violenza, di qualunque origine, nei confronti degli operatori sanitari. Un pensiero che la Legge 1280/78 non ha minimamente intaccato.
Ma è lacunosa anche perché tralascia la complessità dei limiti nella previsione e quindi nella prevenzione di atti violenti compiuti da pazienti. Ci si trova di fronte ad atti che sono di fatto imprevedibili. anche perché la componente personale e clinica è modesta rispetto alle tante variabili indotte dalla situazione del momento. Questo non significa la paralisi operativa con pazienti psichiatrici a rischio, ma tenere presente la riflessione di Swanson che, anche se non posso sapere quando un uragano colpirà quella spiaggia tropicale, questo non mi autorizza a costruirci tranquillamente una capanna su palafitte.
Quello che più mi colpisce nella lettera SIP non sono però questi aspetti. Una volta lavoravo in un servizio in cui il sociologo (figura mitica degli anni post riforma, poi praticamente scomparsa dall’orizzonte dei servizi) era anche Assessore al Sociale di uno dei comuni componenti la ASL. In un paio di occasioni aveva mandato a quel Comune una lettera come Sociologo del Centro di Salute Mentale formulando proposte che poi lui stesso, come Assessore, aveva rifiutato. Un interessante caso di quello che una volta era chiamato il disturbo di personalità multipla, in questo caso del sottotipo “istituzionale”.
Leggendo il comunicato non potevo non domandarmi: ma la Presidenza della SIP non siede al Tavolo Ministeriale della Salute Mentale? Ed allora la SIP deve fare un comunicato per la stampa o per essere materiale di discussione in quel tavolo, che apra una riflessione seria, non solo sulla Legge 81/2014, ma anche sulle tante contraddizioni che si sono aperte dal 1978 in poi, a cominciare dai TSO come controllo, passando per la posizione di garanzia ed approdando alla organizzazione obsoleta dei servizi, e alla questione drammatica delle risorse?
Sperando che non sia una discussione che richieda dieci anni o che produca solo relazioni o protocolli operativi …
Immagino (spero) che questo venga fatto... se così non fosse mi sembrerebbe una qualche riedizione della vicenda di quel sociologo/assessore.
Andrea Angelozzi
Psichiatra