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Contro l’intramoenia crociate populiste che servono solo a distogliere attenzione da smantellamento del Ssn

di Filippo Gianfelice, Pierino Di Silverio

12 OTT -

Gentile direttore,
come una panacea per risolvere tutti i mali della sanità, ritorna, direi quasi ciclicamente, la proposta di abolire l’intramoenia dei medici ospedalieri: molti ricorderanno le parole “intimidatorie” del governatore della Toscana Rossi su Quotidiano sanità del 2016 “va abolita” o quelle drastiche del collega Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano, a maggio di quest’anno a Firenze durante un convegno, “abolire subito l’intramoenia per salvare il SSN”. E su questa onda, qualche giorni fa in Consiglio regionale della Puglia, il consigliere Fabiano Amati ha rispolverato la vecchia e sorpassata tiritera di abolire l’attività libero professionale dei medici ospedalieri pugliesi, nel momento in cui le liste d’attesa (genericamente!) superassero di un certo numero di giorni la stessa attesa delle medesime prestazioni in libera professione.

E sembrano non essere sufficienti le innumerevoli prese di posizione nei confronti di tali parole, che ribadiscono con forza l’inutile e dannoso tentativo di collegare le liste d’attesa con l’attività libero professionale.

Ribadiamo con forza che la libera professione dei Medici ospedalieri è un diritto stabilito per legge, anzi più leggi hanno sancito questo diritto (d.l. 502/92, la n.299 del 1999, la n. 120 del 2007 (legge “Turco”), la n.189 del 2012 (“legge Balduzzi”), ma soprattutto non è corretto intellettualmente ed eticamente mescolare l’attività istituzionale con quella Libero professionale.

Le liste d’attesa per prestazioni rappresentano un problema antico e soprattutto comune, in Europa, a tutti i sistemi Sanitari nazionali universalistici aggravato dalla pandemia da Covid-19che è bene ricordare ha di fatto bloccato per un lungo periodo tutte le attività ordinarie di cure. Superata la pandemia, notevole è stato l’impegno di tutti i medici ospedalieri nel mettere in campo, oltre all’attività istituzionale, ore aggiuntive, per lo più non retribuite poi azzerate, sacrificando il proprio tempo libero, per recuperare gran parte delle prestazioni non eseguite.

Non esiste una ricetta unica ed infallibile per risolvere il problema delle liste d’attesa, molti propongono da un lato di lavorare sulla richiesta e altri di incrementare l’offerta, ma tutte si scontrano con riduzione costante del finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale, che arriverà al 6.2% del PIL nel 2024 e 6.1% nel 2026 (dati Gimbe 10 ottobre 2023, con la ormai pressante riduzione degli organici che si nutre ancora oggi di un tetto di spesa alle assunzioni (fermo al 2004 meno l’1.4) di personale ormai vetusto quanto consolidato e insopportabile e con la nuova epidemia che vede 10 medici al giorno abbandonare il SSN in età non pensionabile.

Ma tornando alle liste di attesa quello che più stupisce è il tentativo di confrontare l’Attività libero professionale con quella istituzionale in termini numerici. I dati ultimi del Ministero della Salute nella “Relazione sullo stato di attuazione dell’attività libero-professionale intramuraria” anno 2021 mostrano come in Italia, le attività in ALPI rappresentano il 7% del totale delle prestazioni ambulatoriale, mentre addirittura le prestazioni in regime di ricovero sono pari allo 0,3% del totale: e questo con alcune differenze regionali (quasi il doppio in Emilia Romagna e Toscana rispetto a Campania e Calabria). E già questo sarebbe sufficiente a spiegare l’inutilità di un blocco di tale attività che nulla apporterebbe alla riduzione delle liste d’attesa.

Ma ancora, se qualcuno ritiene che dall’allungamento dei tempi d’attesa per prestazioni istituzionali ne verrebbe un aumento dell’attività in ALPI, è completamente smentito dai fatti: l’attività intramoenia è in riduzione costante nell’ ultima decade ed attualmente i medici che svolgono tale attività sono poco piu del 38% a fronte del 46% del 2013 (tab.1), cosi come sono in costante riduzione i proventi totali che negli ultimi dieci anni (2010-2020) si sono ridotti del 14% (tab.2) A fronte di questo vi è invece un incremento della spesa procapite per prestazioni sanitarie private pari a ca $920 (dati GIMBE rapporto 2023), aumentata rispetto a circa 600$ del 2020, ma di questi solamente 20-25$ sono spesi per acquisto di prestazioni in ALPI.

Tab. 1 fonte Ministero della Salute

Tab. 2 fonte Ministero della Salute

Continuare a portare avanti inutili crociate, più populistiche che sostanziali, nei confronti di un istituto quale l’ALPI che ricordiamo a chi continua a ignorarlo non sostituisce e non si sovrappone all’attività ordinaria ma viene svolta al di fuori della stessa e solo dopo aver completato l’attività di cura ordinaria ( e per inciso il medico per ogni singola visita percepisce il 30% del compenso che il cittadino versa) garantisce comunque una continuità di rapporto tra medico e paziente da un lato, e dall’altro permette alle Azienda di valorizzare i propri professionisti nei confronti di un Privato sempre più invadente, serve solo a distogliere l’attenzione di tutti dal problema più grave e cioè il lento smantellamento del SSN.

Filippo Gianfelice
Coordinatore Nazionale Osservatorio Libera Professione Anaao Assomed

Pierino Di Silverio
Segretario Nazionale Anaao Assomed



12 ottobre 2023
© Riproduzione riservata

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