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La militarizzazione dei pronto soccorso e una scorciatoia retorica che non protegge né il personale né i cittadini

di Roberto Polillo, Mara Tognetti

31 AGO -

Gentile direttore,
il ridimensionamento del welfare state è ormai la "cifra" comune dei principali paesi dove tale sistema di protezione è nato e diffuso con effetti drammatici sulla qualità di vita delle diverse popolazioni; si riducono i servizi con ulteriore accentuazione delle differenze di salute e di reddito tra i diversi strati sociali, aumenta la povertà e con essa la marginalità e il conflitto sociale. Un quadro di progressivo degrado a cui si dovrebbe porre rimedio con robusti piani di investimenti e che invece induce da parte dei governi, specie quelli ad impronta sovranista, risposte sicuritarie e repressive. E così negli USA come in Europa aumenta a dismisura il numero di soggetti in detenzione, la stragrande maggioranza dei quali sono in carcere preventivo.

Il nostro paese, dove i detenuti sono 90 per 100.000 abitanti non sembra fare eccezione a questa regola. Il degrado in cui versano i PS di molti nosocomi con pazienti in attesa per giorni di un posto letto è stato più volte l'occasione di atti di inciviltà e di aggressione nei confronti dei sanitari a cui bisogna porre rimedio con politiche appropriate. Senza cadere nell' illusione, tuttavia che la risposta securitaria, oggi invocata, sia necessariamente l’unica e soprattutto la più efficace

Le" finestre rotte" come primo indicatore del degrado istituzionale

Le “finestre rotte” il primo indicatore del mal funzionamento del pronto soccorso e non solo.

Quando Q. Wilson e George L. Kelling hanno teorizzato che il degrado di fatto porta altro degrado (le finestre rotte) non avevano certo in mente la realtà delle strutture ospedaliere prevalentemente luoghi di accoglienza e di protezione oltre che di cura del malato.

Nonostante ciò, dobbiamo partire da questo suggerimento “banale” per riflettere sul perché siamo arrivati a proporre e a introdurre le forze di polizia nei pronto soccorso che non hanno nulla a che fare con la cura bensì sono attinenti alla repressione e alla segregazione.

Come già espresso non intendiamo negare e sottovalutare i pericoli che il personale corre in tali strutture specialmente se mal funzionanti, degradate, senza personale dedicato.

Come per i servizi di salute mentale e quelli per le tossicodipendenze la loro collocazione in spazi marginali, nei sottoscala o isolati dai tradizionali percorsi ospedalieri, la scarsa cura dell’ambiente e della relativa attrezzatura e ovviamente la cronica scarsità di personale sono tutti elementi che favoriscono e “legittimano” azioni di aggressione nei confronti del personale sanitario specialmente se donna.

Ciò nonostante la sicurezza del personale e la qualità della cura si garantisce solo attraverso un sistema di emergenza urgenza che funziona, azioni e strutture di prevenzione e di presa in carico, la medicina di iniziativa, diffuse sul territorio.Una rete di medici di medicina generale che non facciano di whatsapp il solo e prevalente strumento di presa in carico del cittadino.

Ancora una volta sono le reti di cura, il loro buon funzionamento a fare la differenza.

Un sistema di emergenza urgenza elemento portante di un rilancio del SSN

Già in altri contributi abbiamo evidenziato che il mal funzionamento e le aggressioni nei pronto soccorso sono indicatori della criticità in cui continua a versare il nostro SSN e come una riorganizzazione di questa unità operativa vada collocata all interno di un disegno organico del SSN e delle sue strutture a partire dalla cura e dalla bellezza che anche sul piano architettonico tali sistemi organizzativi debbono valorizzare.

Degrado, sporcizia, trasandatezza sono tutti elementi che pesano sulla qualità del lavoro del personale sanitario nonché sulla compliance del cittadino.

In queste realtà organizzativa tali elementi sono ancora più importanti perché in esse si arriva pressati da un problema di cui non si comprende la complessità o perché il circuito della cura che sta a monte non ha funzionato o il più delle volte il cittadino non è stato in grado di attivare in modo proficuo. O più semplicemente perché le nostre competenze in salute ci consentono di muoverci in modo elementare nel sempre più burocratizzato sistema di presa in carico.

La sensazione o la convinzione di non essere stati presi in carico in modo adeguato, o tensioni individuali mal gestite, frustrazioni nei confronti di un sistema di cui non si comprende a pieno il funzionamento, possono scatenare reazioni di aggressione e di vera violenza nei confronti del personale indipendentemente dalla loro operatività. Così come attese infinite.

Che fare?

Certamente mettere in condizioni di sicurezza il personale sanitario a partire da un organico adeguato e carichi di lavoro coerenti e relativi riconoscimenti professionali ed economici, ma innanzitutto mettere in ordine la filiera della cura in termini di efficacia ed efficienza.

Incrementare la conoscenza del sistema fra i cittadini (letteracy) ma cosa più importante ripensare queste unità operative anche ridisegnando gli spazi e gli accessi, toglierle dall’isolamento abbellendole e riducendone anche lo stigma a cui sono sottoposte proprio a partire dal versante architettonico. La bellezza aiuta a salvaguardare anche fisicamente un luogo, uno spazio e il personale che in esso vi opera, senza tralasciare il meccanismo e le procedure di funzionamento nonché la rete in cui esse sono inserite.

Politiche securitarie non solo non rendono il cittadino più consapevole rispetto a come funziona il nostro SSN ma minano il processo di presa in carico che sta alla base della buona cura.

Roberto Polillo

Mara Tognetti



31 agosto 2023
© Riproduzione riservata

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