Gentile Direttore,
il Sito Web della Società Italiana di Psichiatria ed i vari quotidiani riportano l’ennesima aggressione ad uno psichiatra, avvenuta in questi giorni all’interno del carcere di Verona. Il 14 giugno era toccato ad uno psichiatra presso il PS dell’Ospedale al Mare di Napoli. Il 3 ed il 12 giugno ad una Psichiatra di Pisa. Il 17 maggio una psichiatra era stata minacciata con una pistola a Napoli dentro il Centro di Salute Mentale.
Il 23 aprile c’era stato l’omicidio di Barbara Capovani.
L’elenco, limitato agli episodi che hanno ottenuto più attenzione dai giornali, potrebbe continuare e diventerebbe infinito se aggiungiamo le tante aggressioni a tutto il personale che opera nei servizi della salute mentale.
Tutto questo ci segnala due cose.
Il primo è che queste situazioni hanno costellato puntualmente da anni il lavoro della psichiatria, rappresentando qualcosa di sottovalutato dalla psichiatra stessa per motivi ideologici, e gestito da Regioni ed Asl con provvedimenti di scarsa efficacia, illudendosi ed illudendo che problemi organizzativi e di risorse si risolvano con qualche corso di deescalation e tre lezioni di difesa personale, come se fossero l’esito di un problema che spetta all’operatore e non alla organizzazione.
Il secondo è che la frequenza di questi episodi sta aumentando, a segnalare che i servizi ormai non reggono più, né di fronte alla quotidianità né di fronte all’urgenza, e tutto il lavoro di prevenzione e assiduità di cura (organizzazione, stili di lavoro e risorse appunto), che la letteratura ci segnala essere efficace per ridurre questo rischio, è solo un ricordo o una fantasia.
Nel frattempo la posizione di garanzia continua a gravare sugli psichiatri per quello che fanno i pazienti, ma curiosamente raramente viene fatta valere per gli amministratori delle Usl e delle Regioni, che pure avrebbero il dovere e la possibilità di impedire questi episodi.
Quando queste cose avvengono, il rituale è sempre lo stesso, e consiste in grandi messaggi di solidarietà da parte delle direzioni delle Asl e delle Regioni, a cui spetterebbe, oltre alla solidarietà, una organizzazione funzionale dei servizi che permetta di mettere in atto tutto ciò che si conosce come efficace in questo ambito.
Le Associazioni Scientifiche poi esprimono puntualmente la loro preoccupazione per lo stato dei servizi, spesso dimenticano di essere presenti nei vari tavoli di lavoro che dovrebbero appunto definire per l’ennesima volta i problemi e proporre per la prima volta le soluzioni reali rispetto allo stato dei servizi ed alle loro conseguenze.
Escludendo che si propenda per la soluzione magica dove questo rituale solidaristico abituale sia in effetti un potente mantra magico, rimane solo una realtà dove non avviene alcun provvedimento concreto e gli operatori devono continuare ad andare al lavoro con la paura per quello che può succedere.
Nella attesa dei prossimi titoli sui giornali e rituali conseguenti.
Andrea Angelozzi