Gentile Direttore,
è curioso come, in una situazione in cui vengono in qualche modo espresse tesi contrapposte, la mia riflessione è che entrambe le parti abbiano ragione. Da una parte Bravi e Rocca nella loro lettera a Quotidiano Sanità rivendicano la importanza della istituzione di Servizi di Psicologia con una loro specificità organizzativa, che risponda ad una specifica innegabile esigenza della popolazione, a cui gli attuali Dipartimenti di Salute Mentale non riescono a dare risposta.
Dall’altra una serie di contributi di psichiatri, e citiamo per tutti Fioritti e Nicolò, come anche recentemente Durbano sottolineano la necessità di fare riferimento al modello già esistente dei Dipartimenti, dedicati appunto alla Salute Mentale, evitando il pericolo di una proliferazione delle agenzie di aiuto con una conseguente frammentazione della risposta.
La mia ipotesi è che abbiano entrambi ragione ma che la soluzione non possa essere né una separazione né una incorporazione.
Credo che sia difficile negare gli attuali limiti dei Dipartimenti di Salute Mentale in tema di intervento psicologico. In parte questo è un problema legato alla importante carenza di questa figura professionale che non è certo dovuta ad una scelta dei DSM: il clima attuale di impoverimento di tutte le sue risorse in cui le scelte residue non sono orientate a lavorare bene, ma solo a far sopravvivere i servizi si aggiunge a un orientamento storico delle amministrazioni, orientate ad un approccio medico ai problemi, a privilegiare alcune figure e non altre. E non ne hanno fatto le spese solo gli psicologi, basti pensare anche ai Terp.
In parte bisogna tenere presente la storia dei DSM che nascono con la chiusura dei manicomi e con la mission di gestire il superamento del passato e delle sue istituzioni asilari per le patologie psichiatriche gravi. Sono le psicosi - patologie per cui l’intervento psicoterapico non può essere sostitutivo rispetto a quello psichiatrico - ad avere dato forma ai servizi, che non a caso hanno poi affrontato con difficoltà la complessità delle nuove richieste per patologie a cui prima veniva data meno attenzione.
Di fatto tutta una serie di problemi (basti pensare ai cosiddetti "disturbi mentali comuni") sono rimasti ai margini del DSM, incapace di modificare la propria struttura e di operare un reale ripensamento del proprio modello organizzativo. In questo modo sono proliferati al suo interno, ove le risorse lo consentivano, ambulatori dedicati, nella realtà più giustapposti che integrati. Tutto questo non è certo il terreno migliore per potere dare risposta a bisogni psicologici della popolazione.
Credo che siano altrettanto difficili da negare i problemi che creerebbe una separazione fra servizi comunque orientati al fine comune della salute mentale della popolazione. E non c’è bisogno i ricordare quanto siano sfumati certi confini patologici e quanto sia complessa e spesso imprevedibile l’evoluzione di talune situazioni, con le difficili prospettive di una loro gestione in servizi diversi, o di problematici passaggi fra servizi, dove protocolli di collaborazione nascondono la poca efficacia e l’alto costo di improbabili integrazioni operative.
Temo a questo punto che l’unica soluzione che possa preservare un vero approccio organico alla salute mentale, che metta insieme gli obiettivi dei DSM ed i bisogni psicologici della popolazione, non sarebbe né la incorporazione né la separazione, ma una terza via: un entrare del servizio psicologico a pieno diritto in un diverso modello di dipartimento, che abbia realmente come fine, e come possibilità, quello di rispondere alle richieste generali di salute mentale.
Dico “temo” perché dubito molto che in questa fase di crisi del SSN, in cui è in gioco la stessa sopravvivenza dei Dipartimenti e si fanno emergenti istanze neomanicomiali, vi sia una qualche disponibilità politica a investire realmente, in modo radicalmente diverso e più ampio, in un nuovo progetto di organizzazione dei servizi di salute mentale.
Andrea Angelozzi
Psichiatra