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Riprendiamoci la nostra autonomia

di Ornella Mancin

19 GIU - Credo sia giunto il momento per la medicina di famiglia non solo di rinnovare la Convenzione (cosa che si fa con sempre maggior ritardo) ma soprattutto di ripensarla radicalmente.

Il medico di famiglia, che giuridicamente è inquadrato come libero professionista, ha perso progressivamente in questi anni la sua autonomia professionale diventando sempre più amministrato e burocratizzato. Poco o nulla è rimasto di quella professione intellettuale e liberale che caratterizza la libera professione se non forse la possibilità di decidere dove aprire lo studio nell’ambito di un territorio assegnato e che orari di apertura tenere (cosa poco rilevante dal momento che comunque nel resto della giornata la maggior parte di noi passa il suo tempo chiusi dentro lo studio a rispondere all’email, a fare piani terapeutici, inviare dati, ricette, etc).

Se si vuole veramente recuperare il valore intellettuale della nostra professione bisogna ritrovare e sviluppare il rapporto libero professionale. Lo ritengo l’unico modo per sottrarre la nostra professione dai vincoli ormai oppressivi di un controllo che sta rendendo sterile il nostro impegno, il nostro percorso di studi e il nostro intelletto.

Ma liberalizzare implica che si metta in discussione lo schema attuale della convezione che contrattualmente resta un ibrido tra dipendenza pubblica e libera professione.

Per farlo credo ci si debba rifare all’idea di autore , di “shareholder” tanto cara al prof. Cavicchi.

Dell’”autore” Cavicchi ha parlato più e più volte (nella “Quarta riforma”, nella “Questione medica”, nelle “Cento tesi”) ma senza ricevere l’attenzione che a mio avviso, pur nelle difficoltà applicative, la proposta merita.

Dice il prof Cavicchi che “tra dipendenza pubblica e lavoro convenzionato esiste la strada dell’autogoverno del lavoro, cioè degli autori”.

L’ autore è nello stesso tempo ideatore ed esecutore di un progetto , ne è il principale responsabile , rischia in proprio ma decide in piena autonomia e viene misurato in base ai risultati raggiunti. La figura dello shareholder non è così teorica o utopistica come può sembrare a un primo impatto, in realtà nella pratica quotidiana già per molti di noi, specie per chi opera in medicina di associazione, di gruppo o integrata, è qualcosa di concreto che aspetta una sistemazione giuridica contrattuale e quindi una evoluzione nei modi di definire il lavoro medico.

In queste forme organizzative che il DDL 502, in fase di riesame, intende diffondere, i medici sono chiamati a darsi una organizzazione del lavoro e delle modalità operative che garantiscano il raggiungimento di obiettivi stabiliti da un contratto di esercizio.

Perché allora non può avvenire una estensione di questa autonomia tale per cui ci si consente davvero di essere pienamente autori e non come sempre più spesso accade , semplici esecutori di ciò che vuole l’azienda sanitaria dove si opera? Una maggiore autonomia basata su un accordo (una nuova convenzione appunto) che abbia come fine obbiettivi di salute, buon stato di salute della popolazione e risparmio di spesa sanitaria.

Il recupero della autonomia professionale è l’unica strada per me precorribile per ridare dignità alla nostra professione ed è un “rischio” che vale la pena di correre anche mettendo a repentaglio lo stipendio sicuro.

La retribuzione del medico di famiglia è oggi basata sulla quota capitaria: più pazienti mi scelgono più cresce il mio stipendio. Tale meccanismo crea ovviamente delle distorsioni. L’utente che sceglie in maniera fiduciaria il professionista, se da una parte dovrebbe fidarsi del proprio medico, dall’altra si aspetta un trattamento in qualche modo “privilegiato” pena la ricusazione.

La paura di essere ricusati porta spesso il medico ad accondiscendere a richieste inappropriate. Alla quota capitaria si aggiungono poi altre voci pagate poche lire per determinati compiti pattuiti sindacalmente (6 euro per fare i vaccini, qualche spicciolo per le medicazioni, qualche lira per seguire a domicilio il cronico con regolarità …).

Questa modalità di costruzione dello stipendio basata sul pagamento “miserrimo” di prestazioni è il cavallo di battaglia di qualche sindacato convinto che ai medici di famiglia interessino fondamentalmente i soldi , per quanto pochi, e non la qualità del lavoro e della vita.

E così accettando di volta in volta di fare qualcosa in più in cambio di cifre insignificanti siamo diventati dei prestatori d’opera perdendo definitivamente il valore del nostro essere medici.

E’ tempo di recupere e lo possiamo fare solo riprendendoci la nostra autonomia e non per fare quello che vogliamo ma per dimostrare ciò che valiamo.

Bisogna lavorare per ridefinire una nuova convenzione nella quale lo stato giuridico libero professionale contempli il medico quale autore con una nuova organizzazione del lavoro integrata con le altre figure professionali all’interno di equipe multiprofessionali che concorderanno con la parte pubblica scopi, finalità e obiettivi di salute nell’ambito di una vera riforma delle cure primarie che veda nel distretto il punto di incontro tra territorio e ospedale e vero punto di riferimento per i cittadini.

Questa nuova definizione della figura professionale del medico deve prevedere libertà organizzativa, abolizione dei massimali, de- burocratizzazione della professione e remunerazione (all’altezza del lavoro intellettuale compiuto) in base ai risultati.

Non è un cammino facile, ma oggi siamo chiamati a fronteggiare e a governare una realtà super complessa che implica problemi di ogni tipo : morali, scientifici, economici, giuridici, organizzativi e non lo possiamo certo fare ingabbiati in una medicina amministrata che ci sta soffocando rendendoci delle Trivial machine, come ci ha ricordato più volte il prof. Cavicchi.

Riprendiamoci la nostra autonomia, facciamoci pagare bene come compete a un libero professionista e dimostriamo che siamo all’altezza delle sfide di una moderna sanità

Ornella Mancin
Medico di medicina generale

19 giugno 2023
© Riproduzione riservata

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