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Serve una visione complessiva più ampia della organizzazione del benessere psichico

di Andrea Angelozzi

06 GIU -

Gentile Direttore,
ho letto con molto interesse su Quotidiano Sanità la lettera di Favaretto del 30 maggio e quella del Coordinamento dei Direttori di DSM della Toscana del 1 giugno.

Entrambe si soffermano su due importanti aspetti. La prima solleva il problema del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), delle distorsioni che ha avuto rispetto al progetto originario e della sua evidente inadeguatezza nella gestione attuale delle situazioni.

La seconda quella di una auspicabile riforma degli art. 88 ed 89 del C.P. che regolano gli istituti della infermità e seminfermità mentale, nel tentativo di modificare il meccanismo che finisce per saldare, nelle mani degli psichiatri, la gestione della pena a quella della cura, in un amalgama che presenta infinite fragilità.

Entrambe le questioni, quella fra follia, consapevolezza e quindi consenso alle cure, e quella del rapporto fra follia e norma giuridica o sociale, sono indubbiamente importanti, sia storicamente, impregnando da secoli la cultura psichiatrica, sia nella attualità, legate ad aspetti organizzativi, di risorse e modellamento dei servizi.

La loro indubbia rilevanza non deve tuttavia farci dimenticare tutto quello che in salute mentale non è art. 88 ed 89 e non sono i trattamenti senza consenso.

Scorrendo i dati del Sistema Informativo Salute Mentale (SISM) emerge un complesso iceberg dove i diversi numeri non suggeriscono certo direttamente la entità dei problemi e la loro priorità, ma pongono la necessità di una riflessione e di poter cogliere questi aspetti anche sotto una luce diversa.

Esaminando i dati 2021 (Report SISM 2022) troviamo una prevalenza di patologie trattate nei servizi di 158/10.000 abitanti pari a 778.737 pazienti. Sono numeri importanti che diventano ancora più significativi se vediamo i dati della farmaceutica, dove troviamo questa volta una prevalenza di 126 per 1.000 abitanti per l’uso di antidepressivi e 20/1.000 per gli antipsicotici, con un dato quindi almeno 10 volte superiore alla utenza dei servizi! Se poi consideriamo il malessere psicologico/psicopatologico non trattato in nessuna forma, su cui soprattutto gli psicologi richiamano regolarmente la attenzione, anche proprio sulle colonne di Quotidiano Sanità, il dato è ancora maggiore e preoccupante.

Il problema del TSO ha riguardato 5.538 situazioni, pari a meno di 0,7% dei pazienti. Quanto ai pazienti con misura di sicurezza affidati ai DSM, altre fonti ci dicono che sono circa 15.000, pari a 1,9%.

Intendiamoci, sono situazioni drammatiche che meritano la massima attenzione e coinvolgono la identità stessa della psichiatria, ma proprio per questo non possono essere presi (ma immagino non fosse nella proposta degli estensori delle lettere) come aspetti da affrontare isolatamente né tantomeno come gli elementi prioritari da porre sul tavolo delle riflessioni e delle rivendicazioni della salute mentale. Se infatti non ci si richiama all’orizzonte più vasto che i numeri indicano si rischia di dare origine a due ordini di problemi.

Il primo è che, al di là delle migliori intenzioni, si rischia che l’attenzione per questi aspetti spinga a cercare una risposta esclusivamente di tipo normativo al problema del rapporto fra follia e reati, puntando solo ad un peraltro giusto rifiuto della delega totale che viene fatta alla psichiatria, che ripristini il doveroso coinvolgimento delle Forze dell’Ordine e della Magistratura.

Nel fare questo si rischia tuttavia di allontanare l’attenzione sia dai tanti aspetti, anche clinici che tale rapporto pone, sia dalle radici del problema, cioè dalla grande quantità di malessere, psichiatrico e non psichiatrico, che esiste nella popolazione e per la quale non vi è alcun reale programma di intervento né tantomeno risorse adeguate, lasciando spazio a interventi del tutto frammentari. Peggio ancora, si rischia di aprire la strada a fragili soluzioni politiche che propongono che ci sia un meccanismo magico per tali problemi da ricercare in una qualche modifica ai codici o alle procedure o nel numero dei posti in Rems.

Il secondo è che questi tentativi di restituire, alla psichiatria ed ai pazienti, la propria identità si scontrano con una storia dove i destini della psichiatria l’hanno sempre portata al coinvolgimento con la protezione sociale dalla violenza e con la gestione della coazione. Ogni volta che si afferma la psichiatria si è affermata anche questa sua parte.

Questo fa pensare che il modo per uscire da una tale identificazione non sia solo quello di restituire la loro identità in materia alle Forze dell’Ordine ed alla Magistratura, ma anche di ritrovare una propria nuova identità dove la psichiatria ceda realmente una parte dei suoi ruoli e sia solo una componente di un più ampio concetto di salute mentale e di una effettiva comunità che se ne occupa e che condivide la gestione anche di questi aspetti.

Altrimenti, mentre si apre la strada allo psicologo nelle scuole, allo psicologo di base o altri bonus psicologico, aggiungendo, con questi interventi, infiniti frammenti di agenzie diverse e scollegate fra loro che si occupano del malessere psichico delle persone, si lascia la psichiatria da sola nel proprio mondo a definire e gestire ruoli e confini nel problema dei confini fra follia, violenza e coazione. E si offre l’occasione, specie in ambito politico, per credere e far credere che in questo doppio binario sia la soluzione ai vari problemi, finendo per proporre alla psichiatria norme nuove per un modello ormai vecchio, mentre la si esclude da quanto sta nel frattempo avvenendo nell’ambito più vasto della salute mentale.

Forse la psichiatria deve accettare di essere uno dei tanti componenti della salute mentale e che è da porre mano ad una visione complessiva più ampia della organizzazione del benessere psichico, che renda effettivamente partecipi tutti i soggetti coinvolti in tutto quello che riguarda i pazienti, compresi i rei folli e i trattamenti senza consenso.

Altrimenti, in qualunque nuova normativa si potrà solo vedere il mutuo e variabile sostituirsi di pazienti o operatori circa chi ne fa le spese, lasciando peraltro tutto il resto immutato.

Andrea Angelozzi

Psichiatra



06 giugno 2023
© Riproduzione riservata

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