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Cosa resta della sanità lombarda dopo Moratti e Fontana?

di Marco Fumagalli 

13 GEN - Gentile Direttore,
cosa resta della sanità lombarda dopo la “cura” del presidente Fontana e della sua ex vice Moratti? Attilio Fontana ha gestito in continuità con i precedenti presidenti di Regione Lombardia, il comporto sanità, confermando Giulio Gallera come assessore. Nei due anni precedenti la pandemia, la continuità politica è stata quella di favorire la sanità ospedaliera privata rispetto a investimenti nella sanità pubblica e di tipo territoriale.

All’arrivo del Covid-19 la legge 23 di riforma del sistema sanitario lombardo era incompiuta, proprio nell’ambito della sanità territoriale. La mancanza di volontà attuativa era anche stimolata dall’idea di far gestire la cronicità tramite enti privati come evidenziato dalle 3,5 milioni di lettere inviate poco prima della campagna elettorale del 2018 per l’avvio di quel fallimentare sistema di gestione della cronicità.

Il Covid, quindi, giunge colpendo una sanità con eccellenze ospedaliere ma con il deserto nella sanità territoriale. Il risultato è testimoniato dal numero dei decessi e dalla confusione nella gestione della pandemia in Lombardia.

La causa è aver lasciato un diritto fondamentale, come la salute, alla stregua di un qualsiasi bene o servizio e come tale gestito con una logica di mercato. Tra i primi provvedimenti di marzo 2020 ci sono quindi le delibere per ingaggiare nella lotta al Covid gli ospedali privati con tanto di tariffario e la collocazione dei contagiati nelle RSA, con gli effetti a tutti noti.

Alla luce della completa disorganizzazione del sistema sanitario lombardo ad affrontare un’emergenza sanitaria, già ad aprile del 2020 invocavo le dimissioni di Giulio Gallera non per la gestione della pandemia ma per aver non aver nemmeno attuato la legge Maroni del 2015.
Tale legge, dichiarata sperimentale per evitare l’impugnazione del governo Renzi, conteneva elementi di forte contrasto con la normativa nazionale. Il Covid è arrivato proprio nell’ultimo anno di sperimentazione e ha spalancato gli occhi sulla reale situazione della sanità lombarda: un’industria gestita per il profitto e non per la cura.

In tale contesto, la sanità lombarda, doveva essere commissariata, ma per evitare tensioni politiche in un momento delicato, ci fu un esautoramento di potere da parte dei leader di centro destra nei confronti di Fontana e il commissariamento di fatto con Letizia Moratti. La quale, dovendo mettere mano alla legge sperimentale, aveva due alternative: ribaltare la situazione, oppure, mimetizzare il contrasto con la normativa nazionale mantenendo inalterata la situazione esistente.

La Legge Moratti che prende il numero 22 del 2022, prosegue nel solco tracciato dai precedenti presidenti regionali con una folle disposizione per cui pubblico e privato competono con medesimi diritti e doveri nel mercato della sanità lombarda.
Le attività di programmazione e pianificazione sono quindi sostituite dal mercato che dovrebbe trovare la migliore allocazione delle risorse a soddisfazione dei bisogni dei cittadini.
Non è evidentemente così. Abbiamo, invece, lunghe file di attesa e incapacità di far partire la medicina territoriale, nonostante le ingenti somme messe a disposizione dal PNRR.

In questi ultimi mesi abbiamo assistito a inutili inaugurazioni di case della comunità prive di qualsiasi contenuto sociosanitario, da sembrare perfino inadeguate rispetto ai vecchi poliambulatori.

In tale contesto, nell’auspicare la vittoria del polo progressista, si dovrà mettere in conto che per rimediare ai danni fatti ci vorranno almeno due legislature, sempre che il Governo Meloni non prosegua nella logica neoliberista di tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni.
In questo caso potremo definitivamente dire addio al sistema di sanità pubblica, approvato nel 1978 con la legge Anselmi sul servizio sanitario nazionale.

Marco Fumagalli
Consigliere regionale M5S Lombardia

13 gennaio 2023
© Riproduzione riservata

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