Gentile Direttore,
le “Letterine (e “Contro-Letterine”) di Natale” di autorevoli collaboratori di QuotidianoSanità.it rappresentano un singolare e patetico approdo dell’inveterato dibattito sui problemi del nostro Servizio Sanitario Nazionale di fronte ad una crisi che appare inarrestabile anche di fronte alle più impellenti sollecitazioni.
Un dibattito che ha riempito volumi e volumi di saggi, oltre che pagine e pagine di giornali, senza tuttavia arrestare, e nemmeno rallentare, l’inesorabile declino di un servizio sanitario pubblico del quale per alcuni anni ci si era potuti vantare come di uno dei migliori del mondo.
Se Claudio Maffei sostiene nella sua sintesi natalizia la necessità di provvedimenti da lungo tempo reclamati e mai realizzati, quali l’aumento del finanziamentio della sanità, l’adozione di una politica del personale, la razionalizzazione delle reti ospedaliere, la definizione dell’assetto territoriale e dei suoi rapporti con la rete ospedaliera, eccetera, giustamente Ivan Cavicchi osserva che tali provvedimenti non possono essere presi se non nell’ambito di una visione globale della irriducibile complessità della sanità e della medicina e quindi di una riforma radicale del sistema in grado di rimuovere le pesanti contraddizioni che ne condizionano assai negativamente il funzionamento.
Antonio Panti, dal canto suo, ci rammenta, senza polemizzare, che i professionisti della sanità vorrebbero un servizio equo, universale, uguale ed accogliente, ma rileva la mancanza di un interlocutore politico e rileva che “nessuno tra i cosiddetti decisori pensa a finanziare la salute pubblica perché non la si considera come investimento”.
Non c’è dubbio che la crisi del SSN è soltanto una parte di una più vasta crisi che coinvolge i fondamentali valori morali sui quali dovrebbe fondarsi lo sviluppo della nostra società, con particolare riguardo alla gestione dei beni comuni e alla salvaguardia di una reale uguaglianza dei diritti e dei doveri fra i cittadini.
Valori che si sono affermati fino a diventare un luogo comune dal diciottesimo secolo fino alla seconda metà del secolo scorso, ma che sono rimasti nel limbo dell’astrattezza ideologica dopo il trionfale avvento del cosiddetto libero mercato fondato sul profitto selvaggio e sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, come afferma di tanto in tanto papa Francesco rimettendo in circolo una espressione obsoleta, ma ridivenuta ormai di assoluta attualità.
In questo quadro la inadeguatezza della classe politica e la sua doppia morale rappresentano il principale nodo da sciogliere e impongono la costruzione di un movimento culturale che partendo dal basso ricostituisca un ceto politico del tutto rinnovato e in grado di realizzare quel cambiamento che appare ormai improcrastinabile.
Occorrono però nuove organizzazioni e nuovi, ben determinati obiettivi che si basino su nuovi comportamenti e nuovi stili di vita già messi in atto dai cittadini in un virtuoso superamento degli attuali abusi. Solo l’adozione da parte di ogni singolo cittadino di comportamenti coerenti nella vita di ogni giorno e una profonda consapevolezza del problema da parte di ciascuno di noi potranno essere in grado di produrre trasformazioni politiche e sociali tali da invertire la direzione di marcia e ristabilire l’equilibrio di uno sviluppo nella continuità.
Non ci si può infatti semplicemente accomodare in un percorso tracciato da altri per altri fini per poi abbandonarsi a lamentazioni, enunciazioni e declamazioni che lasciano il tempo che trovano, ma è necessario operare riconoscendo il valore di ogni nostro singolo atto attraverso la valutazione del suo significato in termini di accettazione ovvero di rifiuto di una precisa visione del mondo e e di un sistema di organizzazione sociale.
Una chiara consapevolezza di ciò che effettivamente si acquista e di ciò che si perde nella quotidianità di scelte spesso difficili consentirebbe, fra l’altro, di compiere azioni che non contribuiscano, sia pure in minima parte, alla distruzione del pianeta oltre che al consolidamento di un sistema di sopraffazione e di ingiustizia, ma che concorrano ad un radicale cambiamento.
Girolamo Digilio